“Maestro, siamo alle solite, gira e rigira mi ritrovo sempre con le pive nel sacco, poco o nessun lavoro e in ogni caso precario, saltuario; per non parlare, poi, della meditazione, nessuna realizzazione, tantomeno la pur minima parvenza di gioia, di soddisfazione …”. Così parlò la rana zen al muro bianco e immacolato della sua stessa caotica mente che le faceva da contraltare agli immancabili sfoghi periodici.
In realtà, la rana, non aveva nessuna intenzione di recarsi dal suo maestro formale. Quegli, del tutto inviso a qualunque genere di atteggiamento passivo o rinunciatario, l’avrebbe accolta all’istante a bastonate. O l’avrebbe pubblicamente derisa. Dopodiché, cesoia o rastrello, le avrebbe affibbiato il più assurdo o noioso dei compiti. Visto e considerato l’andazzo meglio ricominciare da sé e tacere.
La rana zen ci riprovò. Risedette come meglio poteva, pazientò, osservò di nuovo i suoi stessi pensieri, il respiro; poi contemplò, quasi ad oltranza, l’immancabile vuoto che lambiva gli ultimi rimasugli di ego, finché il suo orizzonte degli eventi collassò senza il minimo preavviso. E fu subito sera? No, silenzio. Quindi, le novità si susseguirono a iosa. La rana zen ritrovò l’energia e, di conseguenza, ricostruì la sua vita.
“Cos’è che mi mancava?”, sì chiese un giorno come un altro, ma a distanza di anni.
“Ti mancava la pervicacia che discende, comunque, dal coraggio”, le risposte il solito muro.
“Vabbè, e gli altri?”, sì chiese.
“Racconta loro l’ordito, la vera trama che ti ha reso vincente, ben più consapevole”, replicò il suo superego.
Sicché la rana si distese, riafferrò il martello della mente e sollecitò il suo prossimo a reagire con il massimo cipiglio possibile. Come? Cambiando le regole del gioco, è ovvio, ma sul serio, senza fingere.