La rana zen è un essere senziente molto comune. Le sue attitudini sono del tutto ordinarie. In apparenza – per quanto mi consta – non ha nulla d’incongruo. Certo, il suo carattere è piuttosto metafisico, ma bisogna comprenderla, il suo processo di adattamento alla dimensione astrale che la maggior parte dei terrestri genera e percepisce è stato piuttosto precipitoso. Sennonché, come tutte le trasmutazioni psichiche, ha lasciato i suoi strascichi.
Come se non bastasse, l’attuale habitus fisico le ha causato svariati conflitti interiori. Conflitti difficili da superare. Per fortuna il suo livello di consapevolezza è tale da conoscere a menadito la mappa delle sue défaillance. Il paesaggio interiore le sembra del tutto familiare. Di fatto è il suo rifugio per eccellenza.
Ebbene, la descrizione della rana zen, dei suoi carismi, potrebbe proseguire per molto. Ma a che pro? Già, a che serve discettare sulla vita interiore degli altri e, nello specifico, delle rane, quando non siamo nemmeno capaci di osservare le nostre? Me lo disse la rana … e non il maestro, ma proprio lei, la rana per eccellenza: – “Amico – o come vuoi che ti chiami – tu non pazienti abbastanza. In realtà hai un solo problema, non pazienti; e siccome ti scoraggi poi non princìpi affatto; quindi, non perseveri.”
– “E’ il ritornello di sempre”, osservò il maestro che subentrò nonostante non fosse stato nemmeno interpellato. “Tu chiudi gli occhi per vedere – all’incontrario – l’alternativa – che però non c’è –. E che ti accade? Ricominci a pensare, a sognare, senza fermarti mai.”
– “E allora?”, chiese il gatto zen che pregustava l’opportunità di appropriarsi di una nuova preda, ossia niente po’ po’ di meno che il segreto dei segreti dell’alchimia spirituale.
– “E allora”, tentò di concludere – un po’ per tutti – la rana che aveva ascoltato mezza sorniona questa strana conversazione, “c’è una sola via ed è quella dei neo-anfibi di matrice eterica a cui peraltro ci ispiriamo già.”
– “Non è che abbia seguito molto bene”, dichiarò – a sua volta – sconsolato il maestro. Per inciso, proprio colui che avrebbe dovuto insegnare. “Quale sarebbe la via? Ma non giochiamo con parole del tipo che se la cerchi non la vedi, mentre se l’ignori riappare.”
– “Beh, questo posso dirvelo io”, riepilogò sornione lo strano gatto”. “E’ come quando ti fermi, diciamo in agguato, fiducioso che la tua preda passerà comunque da lì … e attendi … attendi paziente, se necessario anche all’infinito. Io non sono un maestro, ma posso confermarti che la preda, o, se preferisci, il tuo satori, la luce che ti consentirà di vedere, di essere consapevole della tua vera natura, apparirà d’improvviso. Le condizioni sono: credici, sta in agguato, pazienta.”