Il maestro accolse – si fa per dire – la rana zen con la massima indifferenza possibile. Ora, se il maestro non batté ciglio, figuriamoci un po’ il codazzo d’illustri benpensanti che fingevano di meditare al suo cospetto. La rana, seduta in disparte, osservò con disgusto quel quadretto d’assieme. Poi, come colta da un’irrefrenabile energia, pressoché rapita da un’imprevedibile raptus artistico, si recò in un locale adiacente e cominciò a disegnare.
Dapprincipio – senza nemmeno riflettere – tracciò qualche semplice linea. I contorni di un anonimo viso, poi la sagoma di un altero viandante. A seguire gli impassibili gesti di un monaco che abbozzava il Giardino della Vita. Dopodiché la rana, esaurita l’eclettica verve, tornò mogia mogia nella sala di meditazione ove poc’anzi aveva intravisto lo sparuto e silenzioso gruppetto. Assunse la propria postura con garbo e il maestro, che di primo acchito l’aveva completamente ignorata, le rivolse un esaustivo cenno d’intesa. La rana si ricredette all’istante.
– “Non giudicherò mai più”, urlò in cuor suo.
– “Staremo a vedere”, sussurrò sorridente il gatto del Tempio.
A proposito, avete mai visto un gatto, sia pure zen, sorridere? Beh, se non l’avete visto siete proprio senza speranza.