Dopo tante peripezie, dopo tanta inconcludente ricerca, la rana zen si stancò, infine, di fare la rana. Bella scoperta, direte, è un personaggio inventato. No no, nient’affatto, la rana di cui parliamo noi è esistita davvero. Me la descrisse, tanti, ma tanti anni fa il mio maestro, un monaco zen d’alto lignaggio. Nel senso che il suo stesso precettore fu, a sua volta, una delle anime più eccelse che quell’antica tradizione conobbe nel ventesimo secolo.
Mi sono perso? A volte corro un po’ con le frasi, ma lo faccio per sollecitare il lettore, o chi ascolta, per indurlo a stare più attento. Beh, l’escamotage è sempre lo stesso. Ne parlo a iosa rielaborando e articolando un po’ la vicenda perché questa è la vita, sostanzialmente semplice, in apparenza complessa. Un esempio. L’amore lo cogli in un istante, ma per descriverlo, poi, ci impieghi anni.
Okay, ho tergiversato abbastanza. La rana zen fu una splendida ragazza dell’epoca. Così affascinante che i vari insegnanti a cui si rivolgeva per istruirla sull’arte che non c’è, la meditazione, temevano subito per l’equilibrio dei loro discepoli uomini. Finché, per l’appunto, non conobbe il maestro del mio maestro. Quegli la rivestì di sana pianta come un maschiaccio e invece di arruolarla tra gli stuoli di monache dedite, perlopiù, a compiti di natura compassionevole, la incaricò di ripulire di sana pianta il tempio.
Senonché, spazza oggi, rilucida domani, la cosiddetta rana si ritrovò tra le stelle. Sperimentò un primo satori, poi un altro, sorvolò per un po’ quelle ampie sale finché non ridiscese tra gli ignari confratelli stupiti della sua imperterrita e scultorea, androgina figura. Il giorno del commiato il maestro le diede un bacio. Gli astanti non si stupirono più di tanto, sapevano che i maestri zen sono assolutamente imprevedibili. Ma i gatti piansero. Non c’era mai stato nessuno, memoria felina permettendo, a offrir loro del latte così buono. Che non fosse stato l’amore?