“Se Dio ebbe un primo figlio non è detto che non possa averne altri”, pensò la rana zen che stavolta, per l’occasione, aveva indossato gli abiti di un’eccelsa pensatrice.
“Quando il suo primo figlio percorse e ripercorse i sentieri di questo modesto, seppur rigoglioso, pianetino, fu trattato come il peggiore dei briganti. Tuttavia non riesco ancora a comprendere le sue colpe. Quelle che gli furono attribuite dai religiosi del tempo, che sono gli stessi di quelli di ora, ovviamente, chiederò lumi al maestro.”
Nonostante l’ora tarda l’anziano maestro sedeva ancora solo e in silenzio in un angolo dell’asettico giardino adiacente la sala della meditazione collettiva. Non saprei se fosse già l’imbrunire, ma i tenui raggi della luna conferivano al contesto un’incantevole parvenza suggestiva.
– “Maestro, penso che Dio commise un errore con il suo primo figlio”, esordì senza preamboli distogliendo il venerabile dal suo raccoglimento.
– “Si, fu un ingenuo, ma solo per un eccesso di bontà”, replicò subito il maestro che con quel “primo figlio” appena appena accennato tra le righe aveva tuttavia colto al volo l’antifona delle sue metafore (1).
A questo punto intervenne l’autore che si era stancato dell’insipienza odierna dei suoi personaggi.
Scoop, Dio era una donna, ossia una Dea, e quindi madre. Me l’ha detto la rana zen che è riuscita a rammentare il periodo vissuto in paradiso o giù di lì durante le sue ultime, precedenti incarnazioni.
(1) I sottintesi sono un po’ difficili da intuire? Beh, non sto mica a spiegarteli. Questo è un racconto zen. Non è concepito per indottrinarti o distrarti, ma per aiutarti a meditare.