Il massimo dell’egocentrismo è credere che ci sia qualcosa – una pur minima e insignificante parte di noi stessi – o qualcuno che permanga al di là dello spazio e del tempo quando il sipario della vita sembrerà, inesorabilmente, calare. Che si creda nell’anima o in un suo fantasioso, folcloristico succedaneo new age, il risultato non cambia. Ora, non sto, naturalmente, puntando l’indice contro tutti coloro che – in un modo o nell’altro – sì sono spesi per sostenere una qualche forma di sopravvivenza. Avranno avuto le loro buone ragioni. Taluni per un grossolano malinteso sul vero senso della fede. Talaltri per sotterrare, quanto più possibile, l’eventuale panico di un altrettanto erroneo senso di consapevolezza.
Tra i fautori dell’infinito, i partners dell’inconoscibile, i tifosi del sempiterno, non saprei davvero cosa scegliere. Ebbene, credete che sia un nichilista ad oltranza, un filosofo da strapazzo, un costruttore, profano, di templi dell’immaginario? No, mi baso, semplicemente, su “ciò che è” davvero la vita nelle sue variegate, multiformi e poliedriche manifestazioni. Beh, la traccia del mio pensiero, che poi è la stessa d’innumerevoli Yogi del passato, ve l’ho già data. Ma forse era un po’ defilata, si è fatta avanti in silenzio, di soppiatto. L’evidenza non necessita di ipotesi, quelle lasciamole ai truculenti custodi dell’artificio.
Okay, non mi dilungo più. Cos’è che ci accomuna? La coscienza. Noi siamo coscienza. La coscienza è Dio. L’eternità c’è già, ne siamo parte. Nulla di ciò che fummo o siamo o saremo andrà giammai disperso. Questo apparente individualismo è solo un mezzo scherzo della natura. Medita su ciò: Noi siamo pura coscienza.