Gira e rigira mi ritrovo sempre “qui”. Mi reco agli antipodi, ma il rendez-vous è sempre alla stessa “ora”. L’entità mente-corpo che attualmente mi veicola segue sempre i suoi ritmi. A me non rimane che osservare l’insieme. Anche se il mio essere si adopera come non mai a dipanare l’intreccio delle circostanze spargendo le proprie energie in mille e uno rivoli, a giochi fatti riconvergo sempre al di là della contingenza; mi dirigo di nuovo verso me stesso. E non importa affatto che il mio Sè sia sostanziale o meno, che abbia un’anima o meno, che la mia fiamma svetti, sia fiorente o proceda lungo le vie che l’esistenza, in definitiva, consente. Ciò che conta è il prosieguo, il momento successivo, l’infinita serie di attimi in cui ciascuno ritrova, suo malgrado, il “presente”.
Ok, per oggi ho farfugliato abbastanza e tutto per dire: “medito dunque sono”. Medito sull’essenza, ma non so, in realtà, nemmeno cosa sia l’esistenza. Medito sul vuoto, ma se insisto, nel migliore dei casi, provo disgusto; o, finanche, mi prende un po’ di panico. Medito su un’idea positiva, rischiando, però, di richiamare l’esatto contrario. Medito, si fa per dire, sul respiro. Lo osservo nelle sue giravolte praniche; e anche se ciò mi offre finalmente un po’ di sollievo rimango in balia delle più svariate emozioni. Ne provi tante. T’impelaghi nelle filosofie più assurde. Poi, però, dopo aver girovagato pressoché per ogni dove e aver conosciuto sia la più spietata intolleranza che la benevola e vivace compassione, ritorno umilmente sui miei passi, dond’ero metaforicamente partito.