Fede non significa semplicemente credere. Per quanti sforzi di adesione e autoconvincimento mentale si possono compiere ci si ritroverà sempre con le pive nel sacco. E non gioveranno nemmeno l’atteggiamento esteriore artificiosamente indotto o la partecipazione a riti corali, ossia a qualunque forma di autosuggestione collettiva. La fede sorge – salvo rari frangenti – da una condizione di spirito profondamente meditativa.
La finzione ipocrita è sempre in agguato. Il bisogno di non sentirsi isolati e quindi parte di una comunità diventa la ciliegina sulla torta della parodia pseudo-spirituale. Mentre l’emulazione trascina, l’ego sarà il vero portavoce dello psicodramma religioso. Più semplicemente, l’unità tra gli attori sarà solo formale.
E la fede? Già, la fede cincischia, balbetta simulando un gioco a rimpiattino con la verità suprema. Hai vera fede? Allora condividi tutto il tuo superfluo. Altrimenti sta zitto senza spacciarti per ciò che ancora non sei.
La fede non è, quindi, una scelta. Allorché percepirai – con la meditazione o, se preferisci, la preghiera silente – l’unità essenziale di tutti gli esseri e di conseguenza verrai in contatto con la mente di tutte le menti, solo allora sarai così forte da concretizzare le tue migliori intenzioni.
Ora calma la mente, altrimenti le nuvole dei pensieri indisciplinati t’impediranno d’intravedere ciò che sta davvero in alto, sempre più in alto, ben oltre i limiti di qualunque immaginazione.