La rana zen non aveva mai conosciuto la neve. In passato, il solo pensiero, l’avrebbe letteralmente confusa … e ora … che dire ora che si sentiva quasi intorpidita? Il suo paesaggio interiore aveva subito una metamorfosi radicale.
Com’è noto le sue prospettive erano piuttosto uniformi. Non svettava, certo, per ingegno, ma mentre con uno sguardo tra l’affettato e l’indolente abbracciava sorpresa cielo e terra, l’insieme, s’avvide di non esserne avulsa. Tanto più che le rive dello stagno dei loti blu erano così candide che meditarci su sarebbe stato un bel gioco. Inoltre, il Buddha senza nome del giardino infinito sembrava piuttosto una cuspide, la punta di un iceberg. Già, meditare sul bianco, da non perdere.
La rana zen, equipaggiata a dovere, si dispose a sfidare quei fiocchi di se stessa che taluni chiamavano neve. Li accolse mentre le sfioravano il viso. Levitò con quelle semplici formule di vita che il Dio delle rane aveva voluto donarle. Poi, d’improvviso, di punto in bianco, è proprio il caso di dirlo, si svegliò, aveva sognato. Sì rimboccò le maniche e preparò la cena per i suoi amici disoccupati della porta accanto. L’indomani sarebbe stata routine.