In un mondo che spesso ci inquadra in schemi definiti fin dalla culla, trovare uno spazio di chiarezza interiore può sembrare un’impresa ardua. Sin da bambini, veniamo plasmati da regole, credenze e convenzioni sociali che, sebbene utili in parte, possono limitare la nostra visione più ampia della realtà. La pratica della meditazione si presenta allora come un ponte verso una maggiore consapevolezza di sé, permettendoci di osservare criticamente ciò che ci è stato insegnato e di ampliare gli orizzonti oltre le barriere culturali. Questo processo non riguarda solo il rifiuto delle imposizioni esterne, ma anche l’esplorazione di quanto esse abbiano influenzato la nostra identità e il nostro modo di vedere il mondo. Attraverso l’autocoscienza, possiamo iniziare a domandarci: quanto del nostro pensiero è davvero nostro? E come possiamo abbracciare una prospettiva più vasta, senza lasciarci intrappolare nei nostri “pozzi” mentali?
I limiti delle singole culture – Flavio Pelliconi
«L’uomo nasce libero, ma dappertutto è in catene»: questo è l’incipit del «Contratto Sociale di Jean Jacques Rousseau. Il processo d’incatenamento comincia subito dopo la nascita. Il pupo viene erudito prima dai genitori (o da chi ne fa le veci) poi dai maestri di scuola, poi dalle leggi e così via. Se si tolgono tutti gli indottrinamenti, che cosa rimane? Credo che la spiritualità sia il tentativo immane di pervenire a una risposta (anche muta) a questa imbarazzante ma fondamentale domanda.
Come sia possibile identificarsi con identità che non solo sono acquisite, ma che sono state per lo più imposte, per me rimane un mistero. E’ una specie di sindrome di Stoccolma. La sindrome di Stoccolma è quel fenomeno per cui una persona rapita o sequestrata finisce per parteggiare, se non addirittura per innamorarsi del proprio sequestratore/rapitore. Invece di ribellarsi alla violenza, la giustifica. Nel nostro caso, addirittura la santifica, fino a farne una religione.
C’era una volta una rana che viveva in un pozzo. Era lì da tanto tempo. Era nata in quel pozzo ed era cresciuta fino a diventare una rana adulta che ogni giorno ripuliva l’acqua dai vermi e dai microbi che vi si trovavano. Vivendo in questo modo, era diventata bella grassa e lustra. Un bel giorno, una tartaruga, che invece viveva nel mare, passò di lì e cadde nel pozzo.
– Da dove vieni?
– Dal mare.
– Dal mare? È grande? È grande come il mio pozzo? E la ranocchia saltava da un estremo all’altro del pozzo.
– Amica – rispose la tartaruga – come puoi paragonare il mare al tuo piccolo pozzo?
Allora la ranocchia fece un altro salto, più piccolo, e domandò:
– Il tuo mare è grande così?
– Che assurdità voler paragonare il mare a un pozzo!
– No, – pensò la ranocchia che abitava il pozzo – niente può essere più grande del mio pozzo. Questa tartaruga è una bugiarda: cacciamola via!
(Swami Vivekananda – tratta dal discorso che proferì al Parlamento Mondiale delle Religioni, a Chicago, l’11 settembre 1893)
Questo è sempre il lato difficile delle cose. Io sono un indù, mi accoccolo nel mio piccolo pozzo personale, e credo che il mondo intero sia lì. Il cristiano si accomoda nel suo piccolo pozzo e anche lui crede che quello sia l’intero universo. Il musulmano si chiude nel suo piccolo pozzo e anche lui crede che non esista altro al mondo.
(Fonte originale: it.groups.yahoo.com/group/risveglio – 2005)