Dopo aver dialogato con vari utenti del forum ho notato qualche titubanza in merito al vero significato del termine relativismo. Vorrei tentare, a tal proposito, di spiegarne qualche concetto fondamentale. La mia opinione, di semplice fruitore del web, non si contrappone a quella di coloro che lo condannano. Non ho il benché minimo ardire di contendere, confrontarmi o cimentarmi con i suoi oppositori, ovvero con quelli che la pensano diversamente, per cui tenterò di semplificare. Quella di relativismo, e per giunta etico, è un’etichetta tanto generica quanto comoda. Scusate, chi non è a favore di retta educazione, vita e famiglia? I relativisti? Non diciamo stranezze.
Relativista?
Cos’è il relativismo?
Relativismo è il riconoscimento che la vita si sviluppa e si afferma secondo un processo dialettico. Un esempio di tale processo è l’alternanza tra attività e riposo. Qualunque ciclo vitale esige attività e momentanea quiescenza, affermazione del vero come tesi, negazione del falso in quanto antitesi, realizzazione dell’assoluto in qualità di sintesi.
Quindi relativismo non significa, così come ingenuamente o maliziosamente affermano taluni, confusione, ovvero fraintendimento di valori, bensì accettazione della vita, consapevoli che l’esistenza ha tanti lati, ma un unico centro.
Relativismo è riconoscere che l’odio è solo assenza di amore, la malvagità è carenza totale di bontà, mentre la paura, che tanto spesso provoca violenza, è innanzitutto mancanza di certezze. Relativismo, pertanto, è comprendere che queste certezze sono il processo stesso della vita. Infine, ma solo per questi brevi appunti, relativismo è accettazione della vita secondo l’unica realtà possibile, le sue innumerevoli manifestazioni, e non in virtù di false generalizzazioni di veri principi.
La vita, che è amore, è sia il giorno che la notte, sia alba che tramonto, sia luce che la sua assenza, l’oscurità; e non esclusivamente giorno, alba, luce, contrapposti a notte, tramonto, oscurità.
Il relativismo è vita, che è amore, e quindi interezza. Il relativismo pondera, non suddivide per condannare, emarginare e talvolta persino distruggere ciò che arbitrariamente ritiene cattivo, ma coglie la bellezza dell’intero, sia l’uomo (o la donna) che la sua ombra, consapevole che separare l’uomo dalla propria ombra è un’arroganza men che meno ridicola.
La soluzione? Svegliarsi dal torpore, prestare cura e attenzione, agire consapevolmente. E quando le pulsioni distruttive tentano di prendere il sopravvento? Il relativismo è anche disciplina, culto del buon senso, pietà per gli altri come per se stessi, compassione infinita. Chi ha mai detto che sia il contrario?
Ci sentiamo incerti, abbiamo paura e ci illudiamo di poter sopperire con delle credenze aprioristiche, triste succedaneo di una vera riscoperta della propria essenza primeva. Ma la purezza della fonte è solo alle origini.
Non esistono opposti, ma solo relazioni, questo è il relativismo! Cos’è il bene e cos’è il male per il relativismo? Bene è verità, giustizia ed equità. Male, male assoluto, è l’ipocrisia. Ma quale potrebbe essere uno degli ipotetici confini tra bene e male? Quello tra razionalità e irrazionalità è sufficiente? E’ innegabile, la storia insegna che i comportamenti e le scelte basati sull’irrazionalità sono quasi sempre perniciosi e le persone tendenzialmente irrazionali sono più propense, seppur in gradi e differenti evidenze, a esaltarsi, al fanatismo. Il relativismo non ha particolari idee da propugnare e, quindi, nemmeno nemici da combattere. Non si sente superiore, pertanto nemmeno in grado di convertire.
No grazie, pluralista!
Pensare di essere buddhisti, induisti, cristiani, ecc., è attribuirsi false identità. Ben diverso, invece, è l’appartenere ad una determinata nazione. Infatti gli stati hanno confini geografici rilevabili concretamente, mentre gli spartiacque tra le ideologie sono effimeri, mentali, del tutto teorici.
Non v’è affatto bisogno d’identificarsi, il più delle volte inconsapevolmente, con un gregge fittizio. La gente che ora crede di essere islamica è altrettanto umana di quella cristiana. E viceversa.
Purtroppo quando non si riesce a trovare o dissetarsi dalla viva fonte originaria, ci si aggrappa, un po’ dovunque, a riti, culture, formalismi. Si giunge persino al punto di costruirsi qualche pseudoidentità inventando, sulla base di spunti e occasioni storiche reali, dei falsi miti. E di esibire queste false identità come nobili e sacri vessilli alla cui ombra si diventa guerrieri fin quando può accadere persino che ci si combatta davvero.
Così si crea e ricrea il nemico, che in passato era il barbaro, l’infedele, mentre ora sarà il relativista. Il fruscio dei vessilli ideologici genera, nei casi più estremi, solo nidi di serpi. Di converso, il riscoprirsi, al di là di ogni fittizia etichetta, fratelli e sorelle nella purezza e trasparenza adamantina della propria inequivoca e compassionevole natura di esseri senzienti, prelude alla luce, alla pace e all’amore.
Mi auguro che in futuro le differenze tra le varie religioni divengano sempre più sfumate a favore di una religiosità essenziale che ci consenta di vivere in sintonia con la natura, che siamo noi, senza pretendere di dominarla, bensì rispettarla. Ovviamente, religiosità non è vaghezza spirituale. Si tratta solo di un fenomeno esente da interessi economici o corporativi che restituisce la spiritualità alla sua dimensione ideale.
Chi è colui – colei – che sottende l’equilibrio delle vicende naturali? Ovviamente non lo so. Infatti più se ne parla, meno lo si conosce … Ma tutto questo discorso non è un nuovo modello ideologico? No, è solo un modesto tentativo di ampliare le proprie vedute, di far chiarezza.
Riflessioni
Molti tra noi, sia gli osservatori occasionali o disattenti che quelli oltremodo interessati o compartecipi alle vicende politiche, culturali e religiose di questi primi anni del nuovo millennio, hanno notato una considerevole tendenza comunicativa a semplificare l’esposizione dei problemi sociali per ridurla ai minimi termini.
Purtroppo le nostre considerazioni non sono da meno. Condizionati dal mezzo telematico ad agevolare e favorire la comprensione immediata delle questioni trattate siamo spesso costretti ad asserire o replicare in modo altrettanto riduttivo.
Quali sono i limiti oltre cui la spiritualità diviene politica? E’ semplice! Quando le indicazioni d’una religione oltrepassano la sfera individuale per rivolgersi a quella sociale, allora diventano pratica di governo, affari pubblici. Mentre l’ambito spirituale è una questione di coscienza rigorosamente soggettiva, quello politico è soprattutto collettivo.
Ma che centra la politica con il relativismo? Relativismo, e qui la chiave di tutto il nostro discorso, significa libertà ed eguaglianza, tolleranza e pluralismo, civiltà e democrazia. Bisogna evitare di cadere nei tranelli linguistici. E’ sufficiente un minimo di consapevolezza, apertura mentale e flessibilità di giudizio per rendersi conto di come il cosiddetto relativismo non sia altro che pluralismo democratico, democrazia pluralista.
Pertanto la vera alternativa è tra assolutismo eternalista di matrice dottrinaria da una parte (pittorescamente potrei descriverla come una scelta che presuppone fede, sudditi e regni); e pluralismo democratico essenzialmente laico dall’altra, che richiede comprensione, consapevolezza, raziocinio, uomini intimamente liberi, pienamente responsabili e psicologicamente indipendenti. Ambedue sono a favore di vita, retta educazione e famiglia. Chi privilegia il primo opta per uno Stato tendenzialmente teocratico o che, per lo meno, accetta l’influsso di un determinato credo religioso dogmatico. Chi sostiene il secondo intende mantenere ben distinte le religioni dallo Stato.
Conclusione
Infine, perché ho scritto queste riflessioni? Non saprei, ma forse è stato il desiderio di vedere gli umani sempre più reciprocamente solidali e curiosi di scoprire, in se stessi come nel mondo esterno, il nucleo, la fonte stessa d’ogni sollecitudine.
Articolo del 2005. Grazie per la cortese attenzione.