Le religioni? La loro matrice è univoca: una continua ricerca alla risposta di una domanda forse impossibile! Chi siamo? Da dove veniamo? Qual’è lo scopo della vita? E quale sarà il nostro futuro?
Prima di esprimermi, una rapida necessaria precisazione. Io sono molto propenso e favorevole agli insegnamenti del Cristo. Tuttavia ho la netta sensazione che nel corso della storia siano stati via via, in qual certa misura, deviati e adattati a interessi secolari e profani.
Il fatto che le radici culturali d’Europa, o di qualunque altra parte del mondo, siano o meno giudaico-cristane non è un problema religioso, spirituale, bensì politico.
Vogliamo davvero parlare di radici, o l’attuale controversia (2004) è solo una questione di potere?
Come dimenticare le tantissime guerre combattute in nome del Cristianesimo! Fu forse religione?
I coercitivi ricatti psicologici perpetrati nei secoli, vale a dire, fomentazione di paure inconsce quali, ad esempio, il timore d’incorrere in determinate colpe, peccati! Fu forse religione?
Oppure preferiremmo parlare del fatto che chiunque dissentì non si dimostrò persona “timorata”, bensì empia! Fu forse religione?
Anomalie, ma la controversia non mi interessa. Per non infierire e per propositi costruttivi direi: errori del passato per i quali non bisogna serbare più alcun rancore; gli attori di tale remota farsesca commedia furono esseri umani inconsapevoli, superficiali.
Qualche tempo fa ho ascoltato per radio (Commento: radio1, 27-03-04), in tarda serata un dialogo tra due brave persone. Discutendo tra loro, suppongo fossero clerici, dicevano che chi professa un credo religioso e ne abbia realizzato la dimensione interiore ha poi ben diritto a dimostrarne pure il valore sociale, raccogliendo così i frutti della propria fede.
Sarà, ma le leggi prodotte o promulgate sotto l’influsso politico di religioni organizzate che pretendono di sapere cosa siano il bene, il giusto e il bello, non nascono necessariamente da competenze scientifiche adeguate, da libertà di opinioni, ampiezza di vedute, saggezza interiore. Invece, un’autentica religiosità individuale genera una consapevolezza tale che qualunque azione si compia sarà piuttosto cauta e, nel complesso, amorevole, compassionevole, rispettosa.
Ma quelle care persone sono così poi tanto sicure di aver realizzato la dimensione interiore del loro credo? A giudicare dai metodi di propaganda, d’insegnamento, dai privilegi secolari di cui godono e che all’occorrenza difendono con inaudito cipiglio, direi proprio di no, non mi sembra.
D’altra parte il problema non consiste in una maggiore o minore laicità dello stato, bensì nel limitarsi ad attribuzioni e competenze inerenti al ruolo esercitato. Enunciato in maniera più diretta: sarebbe più opportuno che ciascuno si dedicasse alle proprie priorità, senza sconfinare in ambiti che pur relativamente pertinenti risulteranno sempre secondari.
Sembrerebbe un vicolo cieco, ma anche questa volta confiderei in esiti favorevoli. La differenza con i metodi di proselitismo del passato è così tanta che ora gli auspici sono tutti propizi.
Un’altra stravaganza. Ho sentito in TV. (Commento: La7, L’infedele dello 08-05-04); la mancanza di valori assoluti e verità di riferimento produce nichilismo, regressione sociale, conflittualità.
Ebbene, mi dispiace per i tanti valenti esperti che sostenevano queste tesi. Nulla di più falso. Semmai sono proprio le credenze in un Dio senza riscontri soggettivi, personali, ad inasprire i rapporti interumani. Qualunque verità spirituale non può essere imposta dall’alto di qualsivoglia sistema pseudo-educativo che finge di sapere e conoscere, ma deve provenire dalla ri-scoperta della propria interiorità, di un nuovo modo di rapportarsi a se stessi. Nuovo per noi che, abbacinati e rassicurati dai tanti falsi idoli, abbiamo tralasciato d’investigare interiormente per rimuovere la patina superficiale creata da altrettante miserevoli approssimazioni dottrinali.
In un’altra occasione ho udito pure. Senza radici non avremmo identità. L’affermazione è così ridicola che non mi dilungo. Colui che ha proferito cotanta ingenua quisquilia farebbe bene a porsi dinanzi uno specchio e osservarsi cercando di scoprire quanto di stabile e definitivo, oppure di transitorio ed impermanente ci sia nella figura ivi riflessa. Chiedersi dunque quali siano le radici culturali e religiose della propria anima, del suo più intimo sé, oppure, ed è lo stesso, del suo non-sè.
Gli insegnamenti dei maestri spirituali sono innanzitutto vita vissuta e non mera teoria. Le religioni sorte sulle illustri ceneri di Gautama Sidharta o di Gesù il Nazareno ne operarono un progressivo ridimensionamento. Così come il Buddha non fu mai buddista, Cristo non conobbe mai il Cristianesimo. Le autorità civili e religiose d’allora non gliene diedero il tempo … Che ironia! E se il Cristo tornasse oggi esprimendosi con un linguaggio attuale, moderno, scientifico, cosa mai gli accadrebbe?
Tutti gli indottrinamenti religiosi coatti sono fonte di caos, sofferenze, soprusi, conflitti psicologici che si proiettano in quelli reali, incertezza, inconcludenza, ipocrisia.
Al contrario, le conoscenze che derivano dall’esperire in prima persona la propria interiorità, ovvero le istanze soggettive che trascendono la mente e ci rapportano con l’origine, la quiete, il silenzio, l’incommensurabile, l’indefinibile, tali conoscenze generano amorevolezza, compassione, ingegno, vitalità, soddisfazione.
Pertanto il nostro vero scopo non dovrebbe essere quello di continuare a credere supinamente nei cosiddetti valori trascendentali assoluti, bensì nel perseguire l’equilibrio tra la spiritualità, intesa come ricerca e realizzazione di una verità o certezza soggettiva, e la ricerca scientifica e tecnologica.
I cosiddetti valori religiosi condivisi sono tali in quanto effettivamente comuni e non per inconsistenti motivazioni ideologiche. Le certezze ideali assolute vanno innanzitutto rinvenute in se stessi. Recitarle superficialmente non basta, è solo autoipnosi diluita, un tiepido e lenitivo placebo. Per quanto possa sembrare strano sono proprio le convinzioni e persuasioni spirituali astratte e ipotetiche a generare ambiguità, oppure quel mero relativismo così tanto esecrato e paventato. A creare cioè un gap incolmabile, un dualismo irriducibile tra ciò che si è veramente e quanto non si tenti di credere.
Non si diventa più buoni, santi, eroi, per una sorta di pusillanime e gratuita credenza, ma in virtù del proprio intimo coraggio. Quanto emerge dalla propria interiorità, la terra pura e incontaminata del pianeta “vita”, è unicamente compassione, amore.
Conclusione
La tesi che le radici culturali d’Europa siano, in primo luogo, giudaico-cristiane mi sembra eccessiva. Nel corso dei secoli il clero si è evoluto, ha preso atto del progresso scientifico. Quindi la richiesta di tale riconoscimento non è un nostalgico rigurgito d’orgoglio medievale, ma il prosieguo d’interferenze intellettuali esterne sulla sua parte più nobile. Oppure i residui di una vetusta concezione guerresca della religione che ritenendosi unica e migliore si sente autorizzata a dilagare, convertire ed imporsi.
Gesù, quello splendido maestro, già tanto amato dal suo popolo, rappresenta ancora un serio pericolo per qualunque sistema sociale fondato sull’egocentrismo. Ed il simbolo della croce, al di là delle benevole attribuzioni metaforiche, un severo monito per chi osi minarne le fondamenta.
Le vere radici d’Europa, come quelle del mondo intero, consistono in altruismo, tolleranza, ricerca dell’equilibrio, consapevolezza, reciprocità, autenticità, amorevolezza, compassione, auto-responsabilità … Utopie? Nient’affatto! Esse discendono dall’interiorità di ciascuno individuo e sono il nucleo, l’essenza della spiritualità. Compiutezza, universalità, chi non ambirebbe tali radici? L’alchimista che divide e separa, fosse anche il miglior tra gli eletti o l’ultimo degli oppressi sarà, comunque, in odor di cupidigia. Ma pur sempre nulla di così serio da non poter essere rivisto, rivisitato.
L’articolo è del 2004. Grazie per la cortese attenzione.