Il tempo vola via pressoché inesorabile. Dire che i giorni si succedono ai mesi e, quindi, agli anni sembrerebbe finanche pleonastico. Ma è l’imprescindibile realtà. La consapevolezza del flusso stesso del tempo può divenire, di fatto, una sottile forma di meditazione.
Ci sono dei periodi in cui non riesco a descrivere o raccontare nulla. In teoria dovrebbe trattarsi di penuria d’idee, carenza di concentrazione, distrazione, se non assenza di spirito. In realtà sono semplici, banali frangenti in cui prevale la mia mente non-so.
Non so a che accidenti serva tutto ciò che sto facendo o dicendo, ma lo trovo lo stesso fantastico. Non so più se sono esattamente quel che penso di essere, oppure è solo l’ennesima pia illusione. Non v’è nulla fuori posto, ogni cosa è proprio come dovrebbe essere. C’è cattiveria, bontà, l’ego che giustifica, quello che perdona. Cos’è che mi manca? Quindi mi guardo intorno e mi rendo conto che ho bisogno d’individuare e realizzare un obbiettivo, uno per volta, degno di tal nome.
Scrivo ciò che succede, quel che accade. Perché l’ho fatto? Ammetto di non sapere, taccio, e intravedo la mia meditazione in itinere.