Nella pratica spirituale autentica, esiste una differenza fondamentale tra pregare e agire consapevolmente. Mentre la preghiera tradizionale rischia di diventare un rifugio passivo che ci esime dalla responsabilità diretta, la vera meditazione si traduce sempre in azione concreta e presenza attiva nel mondo. Come ci insegnano le storie sufi di Nasruddin, non basta affidarsi a un intervento divino quando abbiamo il potere di risolvere i problemi con le nostre mani. La meditazione, quando è autentica, ci spinge a un coinvolgimento personale, trasformando la riflessione interiore in gesti tangibili che cambiano la realtà. Questo non significa rinunciare alla dimensione spirituale, ma anzi incarnarla pienamente, facendo della consapevolezza uno strumento di trasformazione concreta. Un invito a vivere la spiritualità non come fuga, ma come impegno responsabile verso noi stessi e gli altri.
«Un uomo vede che la scuola del villaggio è in fiamme.
Accorre e sotto un albero trova Nasruddin, che è il maestro della scuola, comodamente seduto.
L’uomo grida verso Nasruddin: “Ma cosa fai? La scuola è preda del fuoco!”
“Lo so!”
“E tu che sei il maestro, non fai nulla?”
“Certo, è da due ore che sto pregando che scenda la pioggia!”
Commento
La preghiera è talvolta un modo per evitare di agire e prendersi delle responsabilità.
Un’altra cosa è la meditazione che traduce la riflessione profonda in un’azione consapevole.
La preghiera comune è solo un sollievo, una fuga, un modo per lavarsi la coscienza per mettersi tranquilli.
La meditazione è attiva mentre la preghiera abitudinaria è passiva e serve per evitare di mettersi in gioco finendo per ingannarsi “sentendosi buoni”.
Di fronte a una calamità si può sperare che cessi pregando dei o santi.
Meditazione, invece, è coinvolgimento personale e in questo caso cercare l’acqua e buttarla sul fuoco in quantità tale da spegnerlo.»