Nella pratica meditativa e nel percorso spirituale, il principio islamico del Tawhid – l’Unità Divina – evolve da semplice formula verbale a conoscenza diretta del cuore. L’approccio esteriore si accontenta di dichiarare l’unicità di Dio, mentre la via interiore ci guida verso un risveglio in cui chi contempla si fonde con ciò che è contemplato. Con l’aiuto della meditazione, possiamo scoprire come ogni apparente divisione tra creatura e Creatore sia solo un velo da oltrepassare. Questo non è uno studio teorico, ma un viaggio di ritorno all’origine, dove la ripetizione cosciente diventa ponte verso la verità ultima. Un cammino che trasfigura la fede da credenza personale a certezza sperimentata, da insegnamento ricevuto a verità rivelata nell’intimo santuario dell’essere.
“Com’è noto, il cardine attorno al quale ruota l’intera dottrina religiosa dell’Islam è la dichiarazione dell’unità divina (tawḥīd), un principio che viene attestato con tale chiarezza da oscurare in un certo senso qualsiasi altra considerazione e rendere secondario ogni ulteriore enunciato.
Questa dichiarazione dell’unità palese per tutti, affermata dalla religione secondo una prospettiva puramente exoterica, viene per così dire «trasformata» dal punto di vista dell’esoterismo, che le attribuisce una portata realmente metafisica e universale.
Limitarsi al tawḥīd nell’esclusivo significato che esso ha per la religione esteriore, cioè quello di una semplice professione di fede nel monoteismo, non può certo ritenersi sufficiente in una prospettiva esoterica: fino a che persiste un soggetto esterno a Dio che ne proclama l’unicità, infatti, Egli non può essere considerato davvero Unico.
Per usare l’immagine di un celebre apologo sufi, è come se qualcuno entrasse in una casa e, trovandovi un singolo occupante, gli dicesse: «Ci sei solo tu in questa casa»; ora, l’altro potrebbe a buon diritto rispondergli: «La tua affermazione sarebbe vera se tu non esistessi!».
In sostanza, affinché l’attestazione dell’unità divina non sia una formula ambigua, è necessario che l’uomo che la professa sparisca totalmente dalla scena: solo così l’Uno viene realmente affermato come Unico.
Il vero tawḥīd non può dunque consistere in una semplice adesione passiva a un dogma teorico, ma implica necessariamente un processo attivo di trasformazione interiore, che permetta di «verificare» (nel senso dell’arabo tawḥīd, «rendere vero», «realizzare», «effettuare») l’unità divina.
È significativo, a tal proposito, che il termine tawḥīd sia l’infinito della forma verbale waḥḥada, che attribuisce alla parola una sfumatura decisamente attiva e dinamica: non tanto dunque «dire» l’unità, quanto invece «fare» l’unità, cioè unificare, rendere unico.”