Pensi che meditare ti renda migliore? Ossia più tollerante, meno aggressivo, più compassionevole? Nulla di più inesatto. Sono le conclusioni di una recente ricerca condotta in ambito universitario. Ebbene, mi sembra la scoperta dell’acqua calda. La meditazione non ti trasforma – di punto in bianco – in un paladino del bene. Non diverrai conseguentemente più mite, remissivo o accomodante. Anzi, a volte accadrà persino il contrario: la “consapevolezza” di determinate “storture” potrebbe potenziare la tua reattività. Historia docet …
La tolleranza a ogni costo è, spesso, solo paura … Semmai la meditazione – che non è per nulla una pratica d’ingaggio emozionale – aiuta a “essere” più autentici! Diventando più autentici, poi, di fatto, le tensioni scemano. Non è che la vita si tinga improvvisamente di rosa; o che ciascun meditante si trasformi in un soggetto buono e misericordioso e, quindi, secondo i criteri correnti, una persona migliore. L’essere “veri” è, al contrario, l’anticamera del coraggio. Il coraggio di amare, come di sorridere dell’odio di taluni per talaltri. Il coraggio di osare, d’intraprendere, di procedere indomiti verso una meta che, tuttavia, si sposta di continuo.
Quand’è che un determinato soggetto accede davvero a uno stato meditativo? In linea di massima, bisognerebbe effettuare specifici test clinici: esaminare il ritmo dell’attività cerebrale (passaggio dalle onde beta alle onda alfa), riduzione dei livelli ormonali di stress (adrenalina, nordrenalina) ecc. Parametri peraltro insufficienti a stabilire se quel determinato training non sia un semplice, seppur profondo, rilassamento o l’accesso al 5° stato di coscienza, Kaivalya, ossia (l’essere solo del jainismo), il nirvana (l’essenza di sé del Buddhismo), e moksha (la liberazione dell’induismo). Sii sincero, il tuo respiro è rallentato sino a fermarsi quasi del tutto? Il tuo cielo interiore si è espanso sino a ravvisarne l’incommensurabile grandiosità? L’orizzonte dei pensieri si è avvicinato sino a constatarne l’immenente crepuscolo? Hai mai sbirciato quell’oltre? Questa è, pressoché, vera menditazione. Il resto sono, ahimé, solo approcci, direi pratici, ma riduttivi.
Proprio nulla di straordinario: meditare è in-utile: potreste ritrovare – in senso ironico – la pietra filosofale. Qui non si tratta di rieducare la mente, di plasmarla ulteriormente con delle contro-suggestioni appropriate. D’altronde, il fine non è di riconoscere l’Uno dentro di sé, tanto meno negli altri. Questa è solo mera retorica. Non v’è nessuna “essenza” – che ovviamente ci accomuni – da rintracciare, inseguire, osservare. E’ necessario solo prendere atto che noi siamo già ciò a cui stiamo così ardentemente anelando. Se cerchi la gioia, saprai che sei già la gioia. Se cerchi la vendetta ti ritroverai in un mare di odio. Se vuoi meditare davvero prendi atto di “ciò che è” – osserva, ad esempio, il flusso spontaneo del tuo respiro –, quindi focalizza il non-cercare. Chiudi gli occhi, rilassati, seduto e ben dritto. Provaci subito.