Un individuo particolarmente estroverso, così caratteristico che lo indicherò soltanto in termini generici, mi ha chiesto:
«Nonostante abbia letto e riletto i suggerimenti di prassi e seguito quei consigli – che seppur generici, mi hanno dischiuso un panorama esistenziale a dir poco esclusivo – del tipo, procedi sempre lungo la via di mezzo; osserva i pensieri, intercettali, ma attendi che svaniscano da soli; immagina di rilassarti, molla la presa, cogli l’istante; sii consapevole della tua postura; non dimenticare di concludere la tua meditazione con una bella passeggiata; … e così via; nonostante la costanza e la cura che ho dedicato a questa benedetta ricerca di “ciò che è”; malgrado l’accettazione della vita così com’è, senza pretendere di cambiare a tutti i costi; malgrado l’amore o, se preferisci, la compassione che ho rivolto un po’ a tutti, mi ritrovo comunque in balia delle più assurde idiosincrasie personali.
Certo, ho intravisto barlumi di risveglio, brevi periodi in cui mi sono sentito perfettamente integrato, ma alla fin fine sono ricaduto nella dimenticanza più assurda, nell’oblio di me stesso. Nonostante abbia sfiorato le cime, lambito le valli, rasentato il benessere, mi ritrovo sempre e poi sempre a ricominciare daccapo. A leggere, coltivare le migliori intenzioni, e così via, il tutto secondo un circolo vizioso che direi oramai senza fine. Ebbene, la domanda che ti pongo è molto semplice. Come uscirne?»
La mia risposta: «Carissimo, la tua esposizione è stata così puntuale e circostanziata che ho dovuto farne una sintesi. Pur supponendo che le tue non siano affatto conoscenze teoriche – cosa di cui peraltro non dubito – c’è un rischio che ricompare in quasi tutti gli approcci spirituali. Il pericolo è di attaccarsi alle proprie parole, se non alle proprie esperienze trasformandole in simulacri da idolatrare. Molla, invece, la periferia e rivolgiti al Centro. Vuoi davvero cambiare? Rilassati! Tutto il fare, cioè il pregare, concentrarsi, contemplare e, persino, meditare ha un solo scopo. Giungere al punto in cui ci si mette spontaneamente da parte per consentire l’avvento del non-fare.
Non sto dicendo che le cose, le vicende della vita, accadono da sé, ma solo che tu osservi, partecipi, edifichi, ti adoperi con la consapevolezza che la regia è sempre e solo al Centro. Le forme sono solo le fantasmagoriche onde che il Centro, un proiettore infinito, crea e ricrea tuo malgrado. Ma anche questa è teoria. Come vedi ne parliamo per ingannare il tempo e distrarci dall’essenziale, dovunque sia, comunque si manifesti, foss’anche la nostra stessa coscienza che si ripartisce in innumerevoli rivoli per ricongiungersi, infine, nell’indistinto “oceano di vita”.»