In genere siamo così insoddisfatti e, nel contempo, spaventati – dall’imprevedibile panorama che questa esistenza comporta dal conferire eccessiva fiducia – ossia una sorta di speranza in itinere – a tutto ciò che può consolarci. Nello specifico facciamo dunque assegnamento sulle più svariate aspettative tra cui la promessa di una futuribile, seppur immaginifica vita ultraterrena. Siffatto atteggiamento ci allontana, ovviamente, dal presente, dall’incommensurabile “qui e ora” che ogni propensione meditativa si prefigge, nonché dal fatto che la vita è, comunque, una variabile indipendente dell’unica luce possibile… Segue un saggio pensiero di Alan W. Watts.
«Stando a ogni apparenza esteriore la nostra vita è un guizzo di luce tra due tenebre eterne.
Né si può dire che l’intervallo tra queste due notti sia un giorno senza nubi, perché quanto maggiore è il piacere che riusciamo a provare, tanto maggiore è la nostra vulnerabilità al dolore: nello sfondo o in primo piano, il dolore è sempre con noi.
Siamo soliti dar valore a questa esistenza con la credenza che vi sia qualcosa di più dell’apparenza esteriore, che viviamo per un futuro al di là di questa vita.
L’apparenza esterna sembra priva di senso. Se la vita deve concludersi nel dolore, nell’incompiutezza e nel nulla, essa sembra un’esperienza crudele e vana per esseri che sono nati per ragionare, sperare, creare e amare.
In quanto essere dotato di ragione, l’uomo vuole che la sua vita abbia un senso, e gli è stato difficile credere che lo abbia a meno che non esista qualcosa di più, oltre a ciò che egli vede, a meno che non esistano un ordine eterno e una vita eterna al di là dell’incerta e momentanea esperienza di vita-e-morte.»
(Da: “La saggezza del dubbio”, Alan W. Watts)
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