L’insicurezza di fondo, l’incertezza su cosa fare o non fare, in qual guisa comportarsi in determinate, seppur ricorrenti, situazioni, è una caratteristica precipua delle persone sagge e non dei dubbiosi, degli irresoluti. Senonché la conoscenza di se, ovverosia il processo introspettivo che ci aiuta ad acquisire maggior confidenza con la dimensione più intima illumina quegli angoli bui che, volenti o nolenti, condizionano finanche le decisioni meno abituali. La propria vita si semplifica? Può darsi, ma via via che ci si sente in maggior misura centrati, quindi orientati verso se stessi e non, unicamente, verso il mondo degli oggetti e quello, estemporaneo, degli accadimenti ordinari, via via che – con una metafora – le porte del cielo si schiudono, emergono solo le necessità, le impellenze reali. La prima avvisaglia davvero positiva è quella di cominciare a sentirsi ancorché a proprio agio. Leggiamo, ora, Charlotte Joko Beck.
«Come comportarci con i problemi, lasciando perdere il solito modo di preoccuparci, analizzare, confonderci e sentire che non sappiamo che fare? Non parlo di faccende insignificanti, che richiedono decisioni da nulla. Parlo di faccende più gravi: “Devo iniziare un rapporto? Devo troncarne un altro? E come fare per venirne fuori?”. Siamo perplessi. Qui va applicata la frase: un uomo è così come pensa nel suo cuore. Ciò che davvero risolve i problemi è il modo in cui pensiamo nel nostro cuore, il modo in cui vediamo la vita. Di qui nascono le decisioni.
Se abbiamo alle spalle un paio d’anni di pratica, anche se non ce ne rendiamo conto, probabilmente vediamo in una luce diversa il problema di come mettere fine a un rapporto, perché è cambiato il modo di vedere noi stessi e l’altro. Una pratica seria cambia il modo di vedere la vita, e anche i comportamenti mutano. Vorremmo una macchina che sputa decisioni, che fornisce problemi bell’e risolti. Non esiste una macchina del genere né alcuno schema fisso: le decisioni vengono dal sapere sempre meglio ciò che siamo.
Immaginiamo di dire a Madre Teresa: “Lascia perdere Calcutta e vieni a San Francisco. C’è una buona vita notturna, ottimi ristoranti e il clima è decisamente migliore”. Ma che cosa la farà decidere? Cosa la fece decidere di vivere nella parte più infernale di Calcutta? Da dove è nata questa risoluzione? “Un uomo è così come pensa nel suo cuore”. Probabilmente Madre Teresa userebbe la parola ‘preghiera’: l’essere con se stessa che non le fa vedere la sua vita e la sua opera come un problema, ma come una decisione.
Più conosciamo chi siamo, più i problemi diventano: “Io sono questo, perciò farò questo, o almeno sono disposto a farlo”. Potremo fare scelte che agli altri appariranno sgradevoli, penose. “Cosa? Sei matto? Io non lo farei mai”. Ma se così sento nel mio cuore, se questo è come sono e come la mia vita vuole esprimersi, i problemi sono finiti.
Quando qualcosa ci sembra insolubile, significa che lo consideriamo un problema esterno, un oggetto là fuori. Non lo percepiamo come noi stessi. Il modo per trasformare un problema in una decisione è sedere con il problema, in zazen. Torniamo all’esempio se accettare l’ottima offerta di lavoro: sedendo si presenteranno tutte le riserve su un lavoro lontano da casa. Etichetto i pensieri e li lascio essere: preoccupazione, analisi, agitazione. E ritorno continuamente all’esperienza diretta delle sensazioni fisiche che si accompagnano alla situazione reale. Siedo nella tensione, nella contrazione; respiro con esse. Così, sono più in contatto con chi io sono e la decisione si chiarisce da sé. Se la confusione è totale, non significa che vi è un problema che debbo risolvere in qualche modo; significa semplicemente che non so chi sono in relazione al problema.
Ad esempio, non so se sposarmi con il tale perché è ricco, o con il tal altro così, solo perché mi piace. Se mi trovo in questa situazione, non vuol dire che mi è caduto addosso un problema esterno: vuol dire che c’è qualcosa di me stessa che io non conosco. Il problema sono io: non so chi sono. Sapendo chi sono non avrei, come Madre Teresa, nessun dubbio su cosa fare. Più mi conosco, più semplifico la mia vita riconducendola ai suoi reali bisogni. Non è che, di colpo, smetto di desiderare questo o quello. Non rinuncio alle cose, ma capisco che non ne ho così bisogno. Persone con anni di pratica scoprono che la loro vita si è semplificata di molto, non perché siano diventati virtuosi ma perché, avendo meno bisogni, i desideri si riducono spontaneamente. Chi mi conosce adesso non crederà che, anni fa, non potevo andare al lavoro senza rossetto e lo smalto alle unghie; non solo, ma i colori dovevano essere intonati. Anche se non ho mai avuto molti soldi, dovevo sempre vestirmi a puntino. Non c’è niente di sbagliato nel presentarsi bene, non è questo il punto. Il punto è che, finché il desiderio egoistico costituisce la preoccupazione principale, le decisioni saranno sempre problemi. Sono sentite come problemi, ma con la pratica, cambiando la comprensione delle nostre reali necessità, desideri e indecisioni si riducono assieme.»
(Da: Charlotte Joko Beck, “Zen quotidiano“)
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