A cos’è che dovremmo prestare, innanzitutto, attenzione, prim’ancora che ai propri volubili e in apparenza inarrestabili pensieri? Si, ci riferiamo proprio a quelle lunghe, incessanti – e, a volte, finanche travolgenti – sequele di candide congetture che come irrefrenabili nubi attraversano il cielo limpido della propria pura e altresì trasparente coscienza all’origine. Il maggior interesse andrebbe rivolto – senza ombra di dubbio – alle proprie intenzioni! E’ indispensabile osservarle con cura sino a rendersi conto che, per certi versi, noi siamo le nostre stesse intenzioni. La presenza mentale non è un semplice escamotage per acclimatarsi al silenzio implicito, per calmarsi, tanto quando ve ne sia davvero bisogno, quanto come grimaldello per riuscire, a tempo debito, a perscrutare al meglio i meandri della mente che si apre via via all’infinito. Il vero scopo è, beninteso, quello di consentire alla propria imprescindibile consapevolezza di sorgere … e nell’intuizione che non c’è vera distanza che ci separi gli uni dagli altri, alla compassione di emergere … leggiamo ora come articola la sua breve disamina Christina Feldman. […]
«Il Buddha ha parlato della saggezza di coltivare la chiara intenzione nelle nostre vite. Riconoscendo che le vostre intenzioni sono i battistrada dei vostri pensieri ed azioni, potete imparare a prendervi cura di esse con sollecitudine ed attenzione. Sia il sorgere della sofferenza che la sua cessazione cominciano con le intenzioni che applicate ad ogni istante della vostra vita. Le intenzioni di gentilezza amorevole e rinuncia vi liberano dai loro opposti: l’asprezza e la resistenza. Potete indagare che effetto ha nella vostra vita entrare in ogni giornata e in ogni istante con consapevole intenzionalità. Vuol dire accordarsi con cura ai ritmi del vostro cuore e della vostra mente, istante dopo istante. Camminate per strada ed osservate i luoghi in cui vi aprite e i luoghi in cui vi chiudete. Osservate cosa accade quando uno sconosciuto vi sorride, e poi quando incontrate un senzatetto che chiede l’elemosina. State vicini a ciò che accade nella vostra mente quando incontrate qualcuno che vi offende.
Osservate che, in assenza di presenza mentale, gli impulsi e l’inconsapevolezza vi spingono a chiudervi e a difendervi. La compassione vi chiede di passare da una vita di reattività ad una vita in cui siete consci delle vostre intenzioni. Siate consapevoli dei momenti in cui solidificate il risentimento e il rancore rimettendo in scena le vostre storie personali in cui qualcuno vi ha fatto qualcosa. Esaminate la possibilità di introdurre in tutti quei momenti la gentilezza amorevole e la disponibilità a lasciar andare. Chiedetevi dove scegliete di dimorare in ciascun momento: se nella sofferenza o nella cessazione della sofferenza. Potete liberarvi dalla separazione e dall’alienazione. I momenti in cui chiudete bottega o vi smarrite nell’indignazione o nel biasimo non sono momenti di fallimento che vi autorizzano a condannarvi ancor di più. Potete accrescere la sofferenza incolpando voi stessi, oppure chiedervi cosa sia davvero necessario per alleviare la contrazione e la paura. Attraverso la saggia intenzione esaminate le possibilità di cura nel momento presente. Potete curare un solo momento di sofferenza e di separazione alla volta.
La compassione non conosce alcuna gerarchia fra sofferenza giusta e ingiusta; non fa distinzioni tra meritato e immeritato. Ovunque ci sia sofferenza c’è bisogno di compassione. Trovare compassione per coloro che causano dolore è una pratica continua, che richiede notevole pazienza e perseveranza. È un viaggio difficile, ma il sentiero del rancore e della divisione è assai più doloroso. Il sentiero della compassione comincia con la vostra disponibilità ad ammorbidirvi e a restare presenti in tutti i momenti in cui siete propensi a tirarvi indietro e battere in ritirata. Imparate ad aprire gli occhi e il cuore in tutti i luoghi in cui siete stati accecati dalla paura o dalla rabbia. Iniziate a smantellare i confini che per troppo tempo vi hanno separato dagli altri.»
[ Da: Christina Feldman, “Compassione. Ascoltare le grida del mondo“ ]
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