La ricerca introspettiva, nello specifico l’osservazione, relativamente neutrale e distaccata, della propria coscienza, ossia di tutto ciò che lì per lì si presenta al fiume in piena del variegato e multiforme universo sensoriale, non è, necessariamente, oggettiva. Può capitare, ad esempio, d’identificarsi con l’atto stesso del conoscere. In realtà la coscienza non è un fenomeno statico, ma una realtà in itinere, in continua e perenne trasformazione. Sicché ciò che rimarrà quando le foglie secche dell’indagine sensoriale smetteranno d’intromettersi per declinare valori e significati che non hanno, o per lo meno, tanto transitori quanto episodici, dicevo, ciò che rimarrà saranno solo fenomeni vuoti. In modo più semplice, non esiste un sé che osserva l’insieme, ma un nulla-tutto che si dipana. Il volo di libertà dell’aquila consapevolezza risulterà senza ostacoli, né d’altronde ne ha giammai avuti … ma diamo ora la parola a Joseph Goldstein …
«La comprensione del ‘non sé’ non deriva dal distruggere qualcosa che chiamiamo ‘sé’ o ‘io’. Il grande risveglio del Buddha, la sua grande scoperta, ha rivelato che non esiste un sé, un io permanente. Perciò, se non c’è niente di cui dobbiamo sbarazzarci, la comprensione del non sé deriva semplicemente dall’attenta consapevolezza di ciò che accade realmente, momento dopo momento.
Non richiede molto tempo cominciare a capire che ciò che appare nella coscienza non è un sé, poiché vediamo direttamente il suo continuo andare e venire. Ma può aver luogo una sottile identificazione con la facoltà cognitiva: “Io sono colui che conosce tutti questi fenomeni transitori”. Potremmo credere che l’atto di conoscere sia l’io, il sé. Poiché il conoscere, o la coscienza, è un oggetto molto più sottile degli altri, all’inizio potrebbe essere difficile esserne consapevoli. Ma se rafforziamo le qualità mentali di fermezza, tranquillità e chiarezza, possiamo diventare consapevoli della consapevolezza. In certi stadi della pratica meditativa diventa evidente che la coscienza stessa è un processo in mutamento. Questa scoperta potrebbe sconvolgerci, perché per tanto tempo ci siamo identificati con la facoltà cognitiva, riconoscendo in essa la nostra natura più fondamentale, la nostra anima, il nostro sé, il nostro centro. E adesso vediamo che anche lei appare e scompare continuamente, proprio come tutti gli altri fenomeni.
Immaginate di lanciarvi da un aeroplano e di fare la caduta libera per pochi minuti. Immaginate il senso di euforia. Ma poi vi rendete conto di non avere il paracadute, e cedete al panico mentre precipitate nel vuoto. Cadete, cadete, cadete terrorizzati perché non avete il paracadute … fino al momento in cui capite che non c’è nessun terreno! A quel livello di comprensione, vi godete semplicemente il volo.
Nel corso della pratica meditativa attraversiamo spesso una simile serie di emozioni. Appena si allenta l’identificazione con le cose e vediamo la rapidità del cambiamento, proviamo una vera e propria euforia, un maggiore senso di spaziosità. Ma quando ci rendiamo conto che non c’è proprio nulla a cui afferrarci, può nascere il panico. Sia gli oggetti della consapevolezza, sia la facoltà che li conosce, precipitano ininterrottamente come l’acqua in una cascata. Adesso comprendiamo, a un livello più profondo, che non serve aggrapparsi alle cose, perché nulla potrà darci la sicurezza che cerchiamo. Ma continuando la pratica ecco l’illuminazione: non c’è nessun terreno da urtare e nessuno che lo urta, solo vuoti fenomeni che scorrono. Allora proviamo il grande sollievo del lasciare andare, la profonda sensazione dell’equanimità, e la gioia dell’essere in pace.»
(Da: Joseph Goldstein, “Insight Meditation“)
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