Nell’arte della meditazione, il viaggio verso la consapevolezza inizia con un passo semplice ma profondo: l’osservazione del respiro. Seduti in tranquillità, ci concentriamo su un punto del corpo dove il respiro si manifesta chiaramente, come l’addome, e seguiamo il flusso vitale che entra ed esce. Attraverso questa pratica, emergono alla coscienza suoni, immagini e sensazioni corporee, che osserviamo senza giudizio o interpretazione. Impariamo a riconoscere la natura mutevole del dolore, liberandoci dall’illusione della sua permanenza e dalla responsabilità della sofferenza. La meditazione diventa un’esplorazione continua, estendendosi oltre il respiro a qualsiasi fenomeno cosciente, invitandoci a un’osservazione pura, libera da desiderio, avversione o indifferenza. In questo stato di pura consapevolezza, la mente si acquieta, ancorata fermamente all’esperienza del momento presente.
«La prima cosa che insegniamo nella meditazione per la consapevolezza consiste nel chiedere alle persone di stare tranquillamente sedute e cercare di localizzare il respiro in un punto particolare del corpo, un punto che sia facile da ascoltare, per esempio l’addome.
All’inizio le invitiamo a seguire semplicemente il respiro, quindi a osservare tutto ciò che di importante si manifesta a livello cosciente. In questo modo diventano consapevoli delle cose più disparate nei momenti più diversi: suoni, immagini, sensazioni corporee. Chiediamo loro di osservare quello che accade con immediatezza, senza interpretazioni o giudizi. Se, per esempio, qualcuno prova dolore fisico, invece di lasciarsi trasportare da pensieri come “è un bene” o “è un male”, oppure “sto male perché sono cattivo”, gli chiediamo di diventare consapevole delle sensazioni che prova, come calore, senso d’oppressione o tensione. In questo modo prendono coscienza di quanto le sensazioni possano continuare a cambiare, e dei fatto che “il dolore” non è niente di immutabile o di permanente. Scoprono anche di non essere sempre capaci di controllare le sensazioni che provano: il dolore non si manifesta in seguito a un loro desiderio, quindi imparano a non sentirsi responsabili della loro sofferenza. Questa non appartiene a loro, è il risultato dell’incontro di terminate condizioni che crea la sensazione.
Li invitiamo quindi a considerare ciò che sentono nel profondo di se stessi: in questo modo si rendono conto che il fenomeno scompare da solo; riescono a individuare, così, la natura dell’esperienza che stanno provando. Se riescono in questo intento, la loro mente diventerà calma e immobile: non si sposterà più al passato o al futuro, ma si fermerà sull’esperienza del momento presente.
L’invito è anche quello di pervenire alla purezza dell’osservazione: devono semplicemente imparare a osservare, sia che si tratti del respiro, sia di una sensazione come il dolore, o di qualsiasi altra cosa si manifesti a livello cosciente. Osservare quindi senza provare desiderio, avversione o indifferenza: l’oggetto della meditazione – piacevole, spiacevole o neutro che sia – dovrebbe infatti portare il soggetto a non provare più desiderio, avversione o indifferenza.
Importante è imparare a distinguere la consapevolezza intesa come ordinaria attenzione da quella che invece possiede questo carattere di purezza. Le persone sono invitate a praticare la meditazione in qualsiasi momento: da seduti, camminando, bevendo una tazza di tè o lavorando. All’inizio incominciamo con la meditazione sul respiro, poi la pratica diventa progressivamente globale. Qualsiasi cosa può diventare oggetto di meditazione.»
[ Da: Sharon Salzberg, L’arte rivoluzionaria della gioia ]
– Sharon Salzberg (amazon)
– Sharon Salzberg (macrolibrarsi)