Il monaco Matthieu Richard ci offre una mappa dettagliata per navigare nel complesso mondo delle emozioni, in particolare di quelle che definiamo “distruttive”. Nel suo approccio, la meditazione diventa uno strumento, vigoroso quanto efficace, per trasformare la rabbia, l’odio e la frustrazione in stati mentali più sereni e compassionevoli.
Richard ci invita a un viaggio interiore suddiviso in tre tappe: osservare, affrontare e prevenire le emozioni negative. È un percorso graduale e richiede costanza, ma i risultati possono essere sorprendenti.
Osservare le proprie emozioni, senza giudicarle, ci permette di comprenderne la natura e le cause. Affrontarle nel momento in cui sorgono, invece, ci aiuta a evitare che si trasformino in reazioni impulsive e dannose. Infine, prevenire le emozioni negative, attraverso una pratica meditativa costante, ci conduce verso uno stato di serenità interiore profonda.
Ma cosa succede quando qualcuno ci ferisce? Come reagire di fronte a ingiustizie e offese? Le parole di Richard ci invitano a riflettere sul fatto che l’odio genera solo ulteriore sofferenza, sia per noi stessi che per gli altri. La meditazione ci insegna a coltivare l’amore e la compassione, anche nei confronti di coloro che ci hanno fatto del male.
In questi appunti esploreremo in sintesi le tecniche di meditazione proposte da Matthieu Richard riflettendo insieme sul ruolo delle emozioni nella nostra vita.
«Matthieu Richard (un monaco di origine francese) nella sua relazione indica i momenti in cui è possibile intervenire sulle emozioni distruttive: DOPO, DURANTE O PRIMA del loro insorgere? Il primo intervento, DOPO che si sono manifestate, è l’approccio del principiante, poiché di solito si riconoscono gli aspetti negativi o distruttivi di certe emozioni soltanto dopo averne fatta esperienza.
Si ricorre allora alla ragione per investigarne le conseguenze; si vede, ad esempio, che un forte attacco di odio, che porta a vedere in una persona una entità assolutamente malvagia, può causare agli altri grande sofferenza e di sicuro non ci rende felici.
Possiamo così distinguere le emozioni che ci rendono felici da quelle che provocano sofferenza. Diventerà allora chiaro che quando emozioni del genere stanno per manifestarsi nuovamente, è meglio non lasciarle andare a briglia sciolta.
Una volta ottenuta una qualche esperienza di questa pratica, la fase successiva consiste nell’affrontare le emozioni QUANDO insorgono. L’elemento cruciale è di liberare le emozioni nel momento stesso in cui insorgono, cosicché non scatenino una catena di pensieri che proliferano fino ad impossessarsi della mente, tanto che ci si sente costretti ad agire, ad esempio ferendo qualcuno. Per fare questo si osserva un pensiero appena formato, nel modo sopra descritto, chiedendosi se abbia una forma, un luogo, un colore e così via, fino a scoprire che la sua natura intrinseca è il vuoto.
Se si acquisisce una certa esperienza di questa procedura, pensieri ed emozioni vanno e vengono senza generare tutta una gamma di pensieri coercitivi, proprio come un uccello che attraversa il cielo senza lasciare traccia, o come un disegno tracciato sull’acqua che scompare immediatamente nel momento in cui viene tracciato.
Per fare questo naturalmente ci vuole una lunga pratica, ma con l’esercizio costante può sicuramente divenire una reazione del tutto naturale. La parola tibetana che si usa per indicare meditazione significa infatti “familiarizzazione”. Grazie alla pratica si diventa familiari con questo modo di vedere i pensieri andare e venire. Ci si abitua.
Quando si è ormai sufficientemente esperti, ecco il passo finale: prima ancora che un’emozione possa insorgere si è già talmente pronti ad attenderla che non riuscirà a manifestarsi con la stessa forza di coercizione.»