Quanti, tra coloro che meditano, sono convinti che inattività e calma siano le sole condizioni essenziali per accedere, seppur gradualmente, all’emisfero metafisico del proprio risveglio? Purtroppo in tanti. Dimenticano, semplicemente, che l’energia vitale non è come un fiore primaverile, che il risveglio non è una conquista, che la gioia non è un conseguimento, ossia un’acquisizione, ma è onnipresente, come una sorgente perenne e inestinguibile. Ci aiuta a comprenderlo, con la semplicità che gli fu propria, D. T. Suzuki …
“Lo stato nel quale ogni resto della coscienza concettuale è svanito viene chiamato stato di povertà dai mistici cristiani. La definizione di Taulero è: «L’assoluta povertà è in te quando non sai ricordarti se qualcuno ti deve qualcosa o se tu devi qualcosa a qualcuno: proprio come tutto sarà da te obliato nel viaggio ultimo della morte».
[…] Wu-men (Mumon) canta così:
Centinaia di fiori primaverili; la luna autunnale;
Una fresca brezza estiva; la neve invernale:
Libera la tua mente da ogni vano pensiero,
E quanta gioia troverai, allora, in ogni stagione!
Ecco altri versi, di Shou-an (Shuan):
Sto seduto tranquillamente a Nantai, con l’incenso che brucia;
Giorno di rapimento, tutte le cose sono dimenticate,
Non che la mente si sia arrestata e che io respinga i pensieri,
Ma non vi è davvero nulla che turbi la mia serenità.
[…] Il discepolo dello Zen […] può essere in piena attività […] – eppure il suo spirito è pervaso da una felicità e da una calma trascendente. […] Tutte le brame sono cadute dal suo cuore, nessun vano pensiero ostacola il flusso dell’attività vitale, e così egli è vuoto e «povero». In questa sua povertà, sa godere dei «fiori primaverili» e della «luna autunnale». Finché le ricchezze mondane erano accumulate nel suo cuore, non c’era posto per questa gioia trasfigurata. […]
Lo scopo dello Zen è raggiungere ciò che tecnicamente viene chiamato lo stato di «non acquisizione». Ogni conoscenza è acquisizione ed accumulo, mentre lo Zen si propone di svincolarci da ogni possesso. Occorre che lo spirito ci renda poveri e umili, completamente sgombri delle impurità interiori. Invece il sapere fa ricchi e arroganti. […] Lo Zen aderisce senz’altro a ciò che dice Lao-tze (Tao-te-ching, XLVIII): «Chi ricerca il sapere si arricchisce di giorno in giorno. Chi cerca il Tao diviene povero di giorno in giorno. Diviene sempre più povero, finché giunge al non-agire (wu-wei). Col non-agire, non vi è nulla a cui egli non possa giungere». Nella sua perfezione, questa specie di perdita è la «non acquisizione», identica alla povertà. Nella povertà si può vedere un sinonimo del «vuoto», della sunyata. Quando lo spirito si è purgato da tutte le scorie accumulatesi da tempi immemorabili, cadono le vesti, cadono gli orpelli, resta soltanto una essenza nuda. Ormai vuoto, libero, autentico, lo spirito assume la sua innata dignità. E in ciò vi è anche della gioia, però non la gioia che può dar luogo al suo opposto, alla tristezza, bensì una gioia assoluta […].
Nel cristianesimo si pensa troppo a Dio, benché sia detto che in Lui viviamo, ci muoviamo ed abbiamo il nostro essere. Lo Zen vuole che si cancelli anche l’ultima traccia di una coscienza dualistica di Dio. Per questo, esso esorta i suoi seguaci a non fermarsi nemmeno là dove sta il Buddha e a passare rapidamente là dove non vi è più nessun Buddha”.
(Da: D. T. Suzuki, Saggi sul Buddismo Zen)
– D. T. Suzuki (amazon)
– D. T. Suzuki (macrolibrarsi)
– Daisetsu Teitarō Suzuki – Wikipedia