La pratica della meditazione si è dimostrata un potente alleato per il miglioramento del benessere fisico e mentale, confermando la sua efficacia attraverso numerosi studi scientifici. Ricerche recenti hanno evidenziato come questa disciplina possa ridurre sensibilmente stati d’animo negativi come ansia e nevrosi, promuovendo al contempo una maggiore serenità interiore e autostima. Non solo contribuisce a calmare la mente, ma agisce anche a livello fisiologico, influenzando positivamente parametri come la pressione sanguigna, il sistema immunitario e il controllo del dolore cronico. La meditazione si distingue da altre tecniche di rilassamento grazie alla sua capacità di allenare l’attenzione e favorire un senso di equilibrio interiore duraturo. Queste proprietà terapeutiche l’hanno resa un valido strumento complementare in ambito medico, utilizzato per affrontare disturbi legati allo stress, malattie cardiache, diabete e persino condizioni dolorose croniche. Grazie a queste scoperte, sempre più professionisti della salute la integrano nei loro percorsi di cura, riconoscendone il valore universale per il miglioramento della qualità della vita.
Proprietà terapeutiche della meditazione
“La Psicologia del Buddhismo sostiene che la meditazione possa produrre alcuni cambiamenti notevoli nella personalità. Recenti studi empirici sulla personalità dei meditatori insistono sull’importante cambiamento previsto di una diminuzione del negativo e di un aumento del positivo degli stati psicologici. Per esempio, i meditatori, raffrontati ai non meditatori, si sono rivelati significativamente meno ansiosi (Ferguson-Gowan 1976; Goleman-Schwartz 1976; Nidich e coll. 1973), registrano minori disordini psicosomatici, più stati d’animo positivi, e sono meno nevrotici sulla scala di Eysenck (Schwartz 1973). I meditatori mostrano inoltre una indipendenza crescente dai segnali situazionali, vale a dire che possiedono una zona interiore di controllo (Pelletier 1974); sono più spontanei, hanno una maggiore capacità di manifestare contatto, si accettano di più, e hanno una più alta considerazione di sé (Seeman e coll. 1972); sono più abili a entrare in sintonia con un’altra persona (Lesh 1970; Leung 1973), e mostrano meno paura della morte (Garfield 1974). Benché questi studi non fossero specificamente destinati a confermare le formulazioni della Psicologia del Buddhismo relativamente all’impatto della meditazione sulla personalità, le loro scoperte tendono a confermare la sua premessa principale: che la meditazione riduce gli stati negativi mentre aumenta quelli positivi. Nel 1984 l’Istituto Nazionale della Salute statunitense (NIH) rilasciò un rapporto unanime che raccomandava la meditazione (assieme alle restrizioni di sale e dietetiche), piuttosto che la prescrizione di farmaci, come primo trattamento per l’ipertensione leggera. Questo riconoscimento ufficiale fece da catalizzatore per la diffusione della meditazione e di altre tecniche di rilassamento come trattamenti in medicina e in psicoterapia. Meditazione e rilassamento non sono la stessa identica cosa; la meditazione è, nell’essenza lo sforzo di riaddestrare l’attenzione: da qui derivano i suoi peculiari effetti cognitivi, come aumentare la concentrazione e l’empatia del meditatore. L’uso più comune della meditazione, tuttavia, è una tecnica di rilassamento facile e rapida. Benché le radici orientali della meditazioni siano asiatiche, divenne evidente ai ricercatori che, in termini di effetti metabolici, la meditazione aveva molti punti in comune con le nostre tecniche di rilassamento come il rilassamento progressivo di Edmund Jacobsen, il biofeedback della tensione muscolare, il training autogeno di importazione europea. La meditazione però differiva dalle altre tecniche di rilassamento nella sua componente di attenzione, come sottolineò Herbert Benson nel suo bestseller La risposta rilassante, ma gran parte della sua qualità terapeutica risiedeva nella capacità di portare il meditatore a uno stato di profondo rilassamento. Con l’avanzare della ricerca sulle tecniche di rilassamento per il controllo dei disordini da stress, le prove della loro efficacia sono diventate più evidenti. I cambiamenti neuroendocrini causati dal rilassamento profondo si sono rivelati essere più profondi di quanto fosse stato creduto in precedenza dai primi ricercatori, che osservarono le tecniche di rilassamento soprattutto in termini di sollievo dalla tensione muscolare e dalla preoccupazione mentale. Ricerche biologiche più sofisticate hanno rivelato effetti profondi sulla funzione immunitaria, così come una vasta gamma di altri cambiamenti con specifiche applicazioni cliniche. Per esempio, Janice Kiecolt-Glaser (1984, 1985) scoprì che gli anziani residenti di una casa di riposo che usavano un esercizio di rilassamento mostravano un aumento significativo delle loro difese immunitarie contro tumori e virus. Gli studenti di medicina che usarono queste tecniche durante lo stress degli esami mostrarono livelli superiori di anticorpi del tipo T-helper contro le malattie infettive. Forse il primo e più intenso interesse medico per il rilassamento è stato il suo contributo per combattere le malattie cardiache. I ricercatori che lavoravano con il Dr. Benson riferirono che la meditazione diminuiva la risposta del corpo alla norepinefrina, un ormone rilasciato in reazione allo stress. Benché la norepinefrina ordinariamente stimoli il sistema cardiovascolare, aumentando la pressione sanguigna, non aveva il suo effetto usuale nei meditatori; al contrario, i meditatori mostravano una diminuzione della pressione sanguigna, lo stesso effetto che si ottiene con i betabloccanti. L’uso clinico del rilassamento per controllare l’alta pressione sanguigna, specialmente nei casi leggeri, è divenuto un trattamento molto diffuso, come riflette il rapporto del NIH; se praticato fedelmente, in molti casi può sostituire il trattamento farmacologico, o diminuire la dipendenza da farmaci. In uno studio inglese, nei pazienti allenati in questi metodi è stata riscontrata una pressione sanguigna più bassa ancora quattro anni dopo che l’allenamento era terminato (Patel e coll. 1985). I benefici per i pazienti affetti da malattie cardiache vanno molto al di là del controllo della pressione sanguigna: si è trovato che il rilassamento aiuta ad alleviare la sofferenza da angina e aritmia e ad abbassare i livelli di colesterolo nel sangue. Dean Ornish (1983) ha dimostrato che l’esercizio di rilassamento accresce il flusso del sangue al cuore, diminuendo il pericolo di ischemia asintomatica. Anche i diabetici possono trarre beneficio dal rilassamento. Richard Surwit (1983) scoprì che il training di rilassamento migliorava la regolazione del glucosio in pazienti con diabete in età adulta. Usando il rilassamento progressivo di Jacobsen con gli asmatici, Paul Lehler (1986) trovò che la sua pratica diminuiva le reazioni emotive che spesso precedevano gli attacchi, e migliorava il flusso nelle vie respiratorie ristrette. Per i pazienti sofferenti, alcune forme di rilassamento offrono speranze particolari. Jon Kabat-Zinn (1985) trovò che la meditazione della consapevolezza, accoppiata allo Yoga, abbassava la dipendenza dagli antidolorifici e diminuiva il livello di dolore nei sofferenti cronici. Le cause del dolore variavano dal mal di schiena e dal mal di testa (emicrania e tensione) ai diversi casi visti nelle cliniche del dolore. Quattro anni dopo che il training era finito, i benefici permanevano ancora. Le tecniche di rilassamento di tutti i generi sono state usate da medici su pazienti di diverse patologie, particolarmente quando lo stress gioca un ruolo fondamentale o aggrava il problema – e ci sono pochi casi in cui non lo faccia. Alcune delle applicazioni più promettenti vengono individuate negli effetti collaterali della dialisi renale e della chemioterapia del cancro, dei disordini gastrointestinali, dell’insonnia, dell’enfisema e delle malattie della pelle. Il rilassamento è anche ampiamente usato come terapia aggiuntiva nella psicoterapia, dove è stato accolto con favore molto prima della medicina”.
