Le antiche scritture Pali paragonano la meditazione alla doma di un elefante selvaggio. Il metodo, a quei tempi, consisteva nel legare l’animale recentemente catturato a un albero, con una buona corda robusta. Ovviamente l’elefante non era contento: gridava e scalpitava tirando la corda per giorni. Alla fine gli penetrava nel cranio che non poteva scappar via e si calmava.
A questo punto si poteva cominciare a dargli da mangiare e a trattarlo con un certo grado di sicurezza. Alla fine si poteva slegare la corda e addestrare l’elefante a fare diverse cose. Infine l’elefante era addomesticato e poteva essere utilizzato per fare lavori utili. In questa analogia l’elefante selvaggio è la mente sfrenatamente attiva, la corda è la consapevolezza e l’albero è il nostro oggetto di meditazione, cioè il respiro spontaneo e naturale. L’elefante addomesticato che vien fuori da questo processo è una mente ben educata e concentrata che allora può essere impiegata per il duro lavoro di perforazione degli strati dl’illusione che oscurano la realtà. La meditazione addomestica la mente.
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– https://en.wikipedia.org/wiki/Henepola_Gunaratana