Satprem s’ispira subito all’eterna battaglia tra luci e ombre, alla perpetua, pressoché persistente alternanza di verità antitetiche, divergenti. Le sue considerazioni – come sempre di matrice spirituale e riferite alla scienza dell’unità per eccellenza, lo Yoga – sembrano richiamare l’incipit dell’arcinota “Tavola di smeraldo”: “Ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto per compiere il miracolo della cosa unica”. Parafrasando Satprem, la meditazione non consiste nel richiamare, ossia disporsi a ricevere, sempre più luce, ma nel far decantare la mente, – sedimentare i pensieri ribelli –. Il che corrisponde, ovviamente, al processo progressivo della consapevolezza. I poli opposti si contrappongono, è vero, ma nel contempo si supportano a vicenda. …
«Più luce si raggiunge, più oscurità si scopre; l’oscurità ferita protesta contro la luce. Non si può fare un passo verso l’alto senza fare anche un passo verso il basso; nessuno può raggiungerre il cielo se non è passato per l’inferno. Più ci avviciniamo alla cima più tocchiamo il fondo, ma tutti i fondi sono la superficie di qualcos’altro. Ogni negatività è per forza l’altra faccia di una medaglia positiva.
Quando incominciamo a chiarificarci, ci accorgiamo che in noi c’è di tutto. Il progresso non consiste tanto nell’andare sempre più in alto, quanto nel far decantare tutto ciò che è d’intralcio. Il campo di battaglia siamo noi stessi: è in noi che si incontrano tutti i mondi, dal più alto al più basso, dal paradiso all’inferno. La soluzione non sta nel fuggire tappandosi il naso o facendosi il segno della croce, ma nello scendere in questi mondi e vincerli.
Niente guarisce se non viene guarito a fondo, né si può scendere nel fondo se non si sale alle cime più alte. Se non vogliamo farci divorare, più intendiamo scendere e più ci occorre una luce potente. Dopo la conquista di ogni cima dobbiamo scendere a portare il potere e la luce giù in basso: soltanto così si trasforma la vita: altrimenti potremo continuare a sublimizzare e a spiritualizzare le cime quanto vorremo, ma la vita quaggiù continuerà nel suo solito caos.
Quando vedete un’ombra molto oscura da qualche parte in voi, qualcosa di davvero doloroso, potete stare sicuri di avere anche la possibilità di raggiungere la luce corrispondente. Sempre troverete che in voi l’ombra e la luce vanno di pari passo: se in voi c’è una capacità, c’è anche la negazione di questa capacità. Ma se scoprite un’ombra molto fitta e profonda, state tranquilli che da qualche parte in voi c’è una grande luce. A voi saper usare l’una per realizzare l’altra.
Se il ricercatore fa sua quest’ipotesi di lavoro, di salire di livello in livello, accettando di percorrere ogni volta il livello corrispondente in basso senza lasciar fuori niente e di portarvi la stessa luce nascosta sotto ogni maschera, in ogni elemento, anche nel fango più oscuro, anche nell’errore più grottesco e nel male più sordido, vedrà che poco per volta tutto si schiarisce sotto i suoi occhi: e non in teoria, ma tangibilmente. Scoprirà allora non solo “cime”, ma “abissi” di verità. Ogni caduta lo costringerà a liberare la verità prigioniera nel fondo.»