Nel cuore pulsante della tradizione Zen, si cela un invito silenzioso alla scoperta di una saggezza che trascende il semplice intelletto. Questo scritto, ispirato agli insegnamenti del Sesto Patriarca Hui Neng, ci guida attraverso un viaggio interiore dove la mente e il Buddha si rivelano non due, ma un’unica verità incommensurabile. Qui, il pensiero non è un intruso, ma un danzatore che si muove leggero tra le pagine della realtà, senza mai imporsi come dominatore. La vacuità si svela non come assenza, ma come spazio di libertà, dove ogni fenomeno danza la sua effimera bellezza. In queste righe, si invita il lettore a lasciare la presa, a esplorare la natura illusoria dell’attaccamento e a risvegliare la Saggezza simile allo Specchio, quella che vede senza giudicare, che comprende senza confini. Un testo che non solo si legge, ma si sperimenta, invitando a un risveglio oltre l’ordinario.
Brani tratti dal sutra del Sesto patriarca Hui Neng:
«”Il Bhikkhu Fa Hai […] durante il primo colloquio che ebbe con il Patriarca gli chiese il significato del noto detto: ‘Ciò che è la mente, è il Buddha‘. Il Patriarca rispose: ‘Fare che non sorga nessun pensiero (che passa) è la «mente». Fare che il pensiero che giunge non sia distrutto è Buddha. Manifestare tutti i tipi di fenomeni è la «mente». Essere liberi da tutte le forme (ossia capire l’irrealtà dei fenomeni) è Buddha“.
Dunque: da una parte la verità della mente sta nel non sorgere di nessun pensiero (che arrivi). Dall’altra la Buddhità consiste nel non distruggere il pensiero che giunge. Le due cose devono stare insieme, sono la stessa cosa: “Ciò che è la mente, è il Buddha”. La mente. Il pensiero arriva, ma non sorge. Cioè non si erige a dominatore della propria realtà mentale, nel senso in cui Confucio diceva che il saggio è privo di idee. L’idea c’è – ovvio -, ma non ti costringe. Questa è la mente naturale. In essa tutti i fenomeni sono manifestati, proprio perché naturale, tersa, non ostruita. Il Buddha. Il pensiero che giunge non viene distrutto. È lo stato di libertà, nel quale viene superata qualsiasi differenza tra risveglio e illusione. Non c’è nulla da eliminare, nessuno stato nirvanico di azzeramento della mente da auspicare e da rincorrere. Lo stesso rincorrere ti fa uscire dal centro. Il pensiero che giunge, giunge; perché sopprimerlo? I fenomeni sono visti nella loro realtà autentica: passeggeri, non sostanziali, intrinsecamente vuoti; si palesa quella fuggevole bellezza che in essi passa, a scapito della loro presunta incontrovertibile presenza. C’è tutto: mente e buddhità, fenomeno e libertà da esso, pensiero e il suo non sorgere.
“[…] ‘Credere nell’io’ è la fonte del peccato, Mentre ‘considerare vuoto tutto ciò che si raggiunge’ riceve meriti incomparabili. […] Gli uomini comuni si attaccano agli oggetti esterni; e all’interno cadono nell’idea errata della ‘vacuità’. Quando saranno capaci di liberarsi dall’attaccamento agli oggetti nell’essere in contatto con essi, e di liberarsi dall’idea errata della distruzione nella dottrina del ‘Vuoto’, saranno liberi dalle illusioni sia all’interno che all’esterno”.
Qui c’è una fine osservazione. Un’idea grossolana, ingenua di vacuità, intesa cioè come totale svuotamento della mente, nasce in chi vive il suo rapporto con il mondo con troppo attaccamento e preoccupazione: te ne senti succube, lo consideri come deturpante e allora cominci a vagheggiare un paradiso mentale illusorio. È un atteggiamento di contrapposizione. Si resta così tanto più attaccati agli oggetti esteriori – seppur sotto l’etichetta della volontà tenace di fuga da essi stessi – quanto più attaccati al nuovo concetto (un’altra idea, un altro idolo, un’altra ideologia) della vacuità. Invece: non c’è nessuna fuga dagli oggetti da compiere, semplicemente c’è una condizione di libertà dalle catene prodotte dall’attaccamento ad essi. E così si svuota anche l’idea errata di vacuità, in cui non c’è nessuna distruzione dei contenuti, ma solo un vuoto aperto, uno spazio libero, in cui tutto – all’interno e all’esterno – si dà, si svolge, si presenta, danza la sua verità. Anche qui c’è tutto, nessun dualismo: oggetti e vuoto. Solo oggetti è vivere nello stato ignorante dell’illusione; solo vuoto è psicopatologia. Oggetti nel vuoto e vuoto negli oggetti: è affrancamento, liberazione, leggerezza. È il lasciare la presa.
“Essendo infatuati dagli oggetti di senso, e quindi allontanandosi dalla propria luce, tutti gli esseri senzienti, tormentati dalle circostanze esterne e dalle contrarietà interne, agiscono volontariamente come schiavi dei loro desideri. […]
Dovresti […] aprire gli occhi di momento in momento, non alla ‘conoscenza degli uomini comuni’, ma alla Conoscenza di Buddha, che è sopra-mondana, mentre l’altra è mondana.
[…]
La Saggezza simile allo Specchio è pura per natura.
La Saggezza dell’Uguaglianza libera la mente da ogni impedimento.
La Saggezza che discrimina tutto vede le cose intuitivamente senza passare attraverso il processo del ragionamento.
La Saggezza che compie tutto ha le stesse caratteristiche della Saggezza simile allo Specchio”.
La Saggezza non ha quindi bisogno di essere perfezionata; non incede attraverso comparazioni, paragoni, classifiche di merito e quindi è liberante da questo meccanismo mentale opprimente; non è raziocinante; non va cercata; non è contrapposta all’agire. Il suo esterno e il suo interno sono coincidenti, non c’è interno, non c’è esterno, non c’è mente e non c’è azione, la sua caratteristica è la purezza, è la sua natura, cioè la mancanza di caratteristiche.»