Ai fini di una pratica verosimilmente corretta è molto utile perseverare nella concentrazione sulla propria postura. Roland Yuno Rech si riferisce ovviamente allo zazen, ma per i neofiti della meditazione non è escluso principiare con un approccio più essenziale, sedere e basta, purché ben dritti e in modo che le spalle non poggino su nulla, mentre si persegue una sorta di dignitosa alterità. Lasciamo, innanzitutto, da parte ogni opinione personale e convergiamo sull’istante. Il film della vita si dispiega e noi l’osserviamo col cipiglio di colui che non discrimina, che non giudica, semmai esplora …
«Durante zazen concentratevi sulla postura. Concentrarsi sulla postura non significa fare ginnastica, non è un esercizio fisico. Significa piuttosto smettere di porre tutta la propria energia nei pensieri personali, smettere di creare divisioni, separazioni. Molte persone, anche praticando zazen, non ne comprendono il punto essenziale. Alla fin fine iniziano a dubitare dello stesso zazen, perché pensano ad esempio che zazen dovrebbe permettere loro di realizzare lo stato nel quale non esiste più alcun fenomeno o illusione. Questo stato sarebbe qualcosa di vicino alla morte, come un elettroencefalogramma piatto. Poiché non riescono a realizzare questa condizione, cercano ogni sorta di mezzi per eliminare le loro illusioni, e la lotta continua.
Zazen è più semplice: vedere ed accettare ciò che è, ad ogni istante; non creare opposizioni tra vacuità e fenomeni, pensiero e non-pensiero, desiderio e non-desiderio. Significa semplicemente guardarsi con uno spirito che non giudica ciò che avviene d’istante in istante. Significa vedere come creiamo separazioni ad ogni momento, come ci rinchiudiamo in un mondo limitato invece di rimanere in contatto, in unità con la nostra vita di ogni istante. Al contrario, ci trinceriamo dietro i nostri punti di vista limitati. Evidentemente, a partire da quel momento, non possiamo che desiderare altro, perché vogliamo ricercare la dimensione illimitata della nostra vita. Ma nessuno, se non noi stessi, ce ne ha separati. Dal momento in cui ci attacchiamo al nostro ego, ci identifichiamo con esso, la macchina dei desideri riparte e questo processo diventa inarrestabile. Iniziamo la nostra trasmigrazione attraverso ogni sorta di oggetti ai quali a un certo punto ci attacchiamo. Se non riusciamo a raggiungerli siamo sfortunati; mentre invece, se li raggiungiamo, siamo delusi perché ci aspettavamo qualcosa di più vasto, di meno limitato. Il mondo nel quale viviamo è il mondo che abbiamo creato, quello delle nostre fantasmagorie, del nostro cinema mentale.
Praticare zazen significa guardare tutto ciò, restaurare la nostra visione, cambiare radicalmente il nostro punto di vista, guardare la vita dal punto di vista della postura di zazen, cioè da un punto di vista vasto, al di là delle nostre costruzioni mentali. Anche la via dello Zen che pratichiamo non deve diventare una via tracciata, qualcosa di nuovamente limitato dalla nostra comprensione, altrimenti diventerà una causa di disturbo per noi nella nostra vita.
Si oppone spesso zazen alla vita quotidiana, mentre la pratica di zazen in realtà riunisce, non separa il quotidiano dalla pratica nel dojo. Non dobbiamo attaccarci a una concezione fissa del Buddha, dello Zen. Non dobbiamo fare come nelle religioni nelle quali si oppone il mondo celeste alla terra. Quando si dice: “Spingete il cielo con la testa e la terra con le ginocchia”, non si tratta solo di stretching, ma di riunire veramente nella postura il cielo e la terra, l’ideale e la realtà, non opponendoli.
Quando il Maestro Issan domandava a Kyōgen: “Mostrami il tuo viso prima della nascita dei tuoi genitori”, non impartiva un kōan assurdo e non risolvibile. Indicava semplicemente il senso stesso della nostra pratica. Non possiamo trovarlo nei sūtra, nei libri. Una comprensione intellettuale non permette di realizzarlo. Il nostro viso prima della nascita dei nostri genitori è lo spirito di zazen che non crea separazioni. È come rinascere nel mondo del Buddha, che non è separato dal mondo nel quale viviamo. È come girare la testa e, in un istante, cambiare punto di vista.»
(Sesshin di L’Arche diretta dal Maestro Roland Yuno Rech, Yui Butsu yo Butsu – Da Buddha a Buddha, Capitolo dello Shōbōgenzō del Maestro Dōgen, Venerdì 26 maggio 1995, kusen delle 16:00)
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– Roland Yuno Rech — Wikipédia (wikipedia.org)
– Sesshin – Wikipedia
– Fonte