A che serve trascrivere decine, centinaia, migliaia di pensieri o aforismi altrui formulati da chissà quali menti intrappolate nelle ragnatele subliminali più assurde e indecifrabili? Suppongo a baloccarsi con una cultura raccogliticcia e raffazzonata che non abbiamo, con una consapevolezza volatile e così intermittente da lasciare esterrefatto il più impavido degli ottimisti; a illudersi di trovarsi sulla via, di essersi emancipati, di sfiorare il risveglio…
Mi riferisco all’obolo intellettuale che molti tra noi tributano via social a una nuova entità effimera, il deus ex machina dell’apparente consenso che in qualche modo ti fa sentire apprezzato e, quindi, qualcuno… Clicco, quindi sono. Ricevo una qualche manciata in più d’imprevedibili “mi piace” e mi sento subito leggermente – o perlomeno inconsciamente – sollevato. So bene che in fondo in fondo non è nulla, ma tant’è… In realtà serve solo ad alimentare il proprio egotismo!
La soluzione? Riportare soprattutto i propri pensieri, quelli autentici, più estemporanei, immediati. Da clicco, quindi sono a “dico la mia” e forse esisto… Ovviamente questo discorso è relativamente opinabile. Nel senso che se un determinato aforisma o brano consono, ovviamente profondo, fosse opportunamente meditato – considerato con la debita concentrazione, dopodiché contemplato – e quindi commentato, i vantaggi potrebbero rivelarsi notevoli.