Breve excursus sulla mia meditazione (dagli esordi al presente)
“Maestro – balbettò la rana zen una volta giunta al cospetto dell’esimio, ossia del maestro di meditazione che la contingenza, il destino o chi per lui si era pregiato di affibbiargli –, sono a tua completa disposizione”.
“Lo vedo – le rispose, di rimando, il venerabile –”. Per inciso, è proprio così, ossia “venerabile”, che tutti i discepoli – nessuno escluso, dal più giovane all’ultimo venuto, ancorché piuttosto sprovveduti, sino al più attempato tra i veterani della meditazione, cioè i più edotti circa i pluri-millenari artifici dis-educativi che questa nobile arte dello scrutare a iosa nel nulla suggeriva – si rivolgevano al loro maestro. (Il periodo è lungo? Concentrati meglio).
“Maestro – riprese la rana zen che ancora aveva solo farfugliato, come hai sempre suggerito, forse persino sollecitato e ammonito, mi sono prodigata a oltranza nel principiare, ma mi sono persa di continuo sul vero significato di perseverare. Perseverare su cosa, di grazia?”.
Il maestro – che quel di’ era, evidentemente, proprio di buonumore – sorrise soddisfatto: “Esattamente ciò che stai facendo ora, perseverare in ciò che ti riesce meglio, ossia nel fare domande idiote!”. Ma subito dopo, evidentemente dispiaciuto per il suo stesso sarcasmo: “Figlia dell’impossibile, cosa ho detto e ridetto sulla concentrazione?”.
“Ci hai spiegato – replicò subito la rana – che si tratta solo del primo passo. La via che conduce a sé stessi, quindi a uno stato di calma che, pur senza omettere nulla trascende comunque l’insieme, è triplice. Oddio, delle rane, la via è una, ma per motivi che ora mi sfuggono – che non si tratti di mero opportunismo? – è suddivisa in tre fasi: dapprincipio è, per l’appunto, indispensabile una qualche forma di concentrazione, quindi subentra la contemplazione cui seguirà, inevitabilmente, ciò che la maggior pate di noi definisce meditazione.”
“Figliola, continua sino in fondo”, insisté il maestro, “precisa meglio. Comincia con un esempio che riguardi la sola concentrazione, ciò che ti sovviene, finanche il più banale, suvvia!”
“Maestro, sedere in zazen è una forma di concentrazione”, balbettò la rana.
“E la contemplazione?”, l’incalzò il Venerabile.
La rana rimase allibita, lì per lì non riuscì più a rispondere. “Se non sbaglio ero venuta per istruirmi, per rivolgere al maestro domande confacenti e invece mi ritrovo a sostenere una sorta di esame”. Sicché rimase in silenzio.
“Cui prodest? A chi giova tutto ciò?”, insisté l’arci-saggio che al momento conduceva il gioco.
“A nessuno”, farfugliò semi-afflitta la rana.
“Bene, e questa è la meditazione!”, sogghignò beffardamente, ma con rara cognizione di causa, l’illustre e beneamato insegnante.
Persevera, figliola, non demordere, ricerca un oggetto che sia degno della tua attenzione, che ti elevi al di sopra della contingenza, che ti offra l’opportunità di sfiorare il cielo con un dito, sia esso di natura etica o quant’altro e contemplalo sino a che tu e il medesimo, per lo meno nei tuoi nobili o umili che siano, splendidi sogni, non diveniate un tutt’uno. Buon prosieguo!”, l’esortò l’umile, l’incomparabile, l’etereo maestro del non-agire.
Un sorriso a tutti coloro che hanno benevolmente letto codesta antica cronaca virtuale.