Chi ha detto che bisogna sempre e poi sempre, di continuo, a iosa, all’infinito, dare? Sinora hai donato persino te stesso. Ti sei sacrificato per i tuoi cari, quelli più intimi e vicini, quindi per la società, a volte persino per una qualche ideologia creata a suo tempo da chissà quali menti insoddisfatte e, con ogni probabilità, finanche sofferenti. Non credi, dunque, che a questo punto sarebbe il caso di predisporsi a ricevere?
Sì, ma cosa e da chi? Pensi che dovresti pregare il tuo Dio? Implorare denaro, benefici, la buona sorte, un po’ di salute? Oppure elemosinare la gioia, qualche briciola d’amore? Ebbene, rammento ancora quando il mio maestro mi bloccò nel pàtio antistante l’androne che poi dava sul cortile del Tempio presso cui mi recavo per meditare. Non ebbe pietà. Mi gettò una moneta e mi chiese cos’era. Ma io mi guardai bene dal rispondergli subito. Sapevo che se avessi replicato con un costrutto mentale, se cioè la risposta non fosse sorta dalla mia più intima essenza, o non-essenza, dal mio vuoto, mi avrebbe espulso all’istante. Mi trattenni. Chinai il capo e ci meditai su per giorni.
Cos’era quella moneta? Ma nulla, un bel nulla, mi risolsi. Dopodiché mi recai all’udienza, attesi il mio turno. Stavo per spiegargli che non era nulla, quando preferii tacere. Dopo un attimo gli porsi la mano e gli chiesi: me ne dai un’altra? Avevo appena intuito che saper ricevere è un’arte che andrebbe appresa prim’ancora di dare. Se non conosci quell’arte, ciò che poi a tua volta darai sarà solo un semplice modo per tacitare la tua più profonda coscienza. Sarà – in termini più drastici –, sarà puro veleno. Allenatevi, innanzitutto, a essere più ricettivi – concluse, soddisfatta, la rana zen – e il resto seguirà da sé.