Jenny sembrava felice. Ma lo era davvero? Dopo la pressoché miracolosa guarigione dalla fulminea – quanto debilitante – malattia che l’aveva costretta a isolarsi per mesi, ora si sentiva libera … Tuttavia la sensazione che provava le sembrava ancora quasi evanescente, una libertà pagata a duro prezzo. Durante la degenza gli amici più cari – o, perlomeno, coloro che riteneva tali – si erano dati alla macchia. È un vecchio modo di dire, ma rende bene l’idea. Al contrario, dei nuovi visi erano spuntati dal nulla per assediarla con un affetto che mai e poi mai avrebbe ritenuto possibile. Un attimo. Come mai ho adoperato il termine assediare? Semplice! Jenny desiderava chiudersi, sparire. Mentre i soggetti più impensabili, tra cui l’acerrima nemica di sempre, le rimasero accanto come se nulla fosse. Eh già, dopo una prima sorpresa persino il tempo le si era dimostrato affettuoso, correndo e riconducendola per mano verso una rinascita, una sorta di palingenesi spirituale che appena pochi mesi prima non avrebbe potuto nemmeno immaginare.
Cos’era accaduto? Con il senno di poi è facile tirare le somme, alimentare il superfluo e riportare solo l’essenziale. Mesi e mesi di angoscia raccontati in un soffio. Come una nuvola che dapprima appariva tetra e talvolta persino orrida, poi via via più tenue, trasparente. Genny non era adusa ai processi introspettivi di taluni meditanti, non conosceva nemmeno i benefici più sottili della preghiera. Quindi non sapeva spiegarsi come mai ora osservava l’insieme della sua vita con occhi diversi. Il distacco c’era, sì, non si sentiva coinvolta come prima. La consapevolezza della caducità della vita aveva sortito il suo effetto. Ma non si trattava solo di quello. E non venitemi a parlare di angeli, luce divina, slancio vitale, ossia l’energia sottile che pervade l’ambiente e che taluni definiscono prana. Può darsi che tutto ciò esista, non lo metto in dubbio. Ma la realizzazione che le aveva consentito di rilassarsi in sé stessa era totalmente diversa. La sua matrice non era spirituale, bensì la più banale delle intuizioni. Jenny si era resa conto di essere stata, sempre e comunque, fondamentalmente sola.
Detto tra noi, avrei sperato di riuscire a descrivere siffatta circostanza con più enfasi. Nulla riuscirà mai a rendere l’idea di cosa significhi la certezza che soli siamo venuti al mondo e soli ce ne andremo. In realtà, per quanto ci si circondi di affetti, per quanto ci s’identifichi con questo e con quello, quindi si combatta per realizzare le proprie idee o per farsi largo e ritagliarsi un proprio cantuccio in una società propensa a ignorarti, saremo e resteremo, sempre e comunque, fondamentalmente soli. Sennonché questa connotazione di solitudine, a ben vedere, non si rivelò affatto negativa. Jenny fece buon viso a cattivo gioco, lo capì, l’accettò e riscoprì uno straordinario tesoro sepolto.
Quella sera le pieghe del tempo si erano fatte inclementi. La sofferenza, specialmente quella psichica, era divenuta indicibile. Quindi la ragazza chiuse gli occhi e in cuor suo disse addio a chiunque. Sì congedò dal suo piccolo mondo. Si lasciò cullare dal nulla. Era certa che sarebbe sparita. E invece … e invece le onde degli istanti collassarono e si ritrovò sola, assolutamente sola, ma più viva che mai. Non angeli che le danzassero intorno, non più amici che tentassero di confortarla, non madre, non padre, nessuno … Lei, sotto la volta di uno stranissimo cielo, prima che l’alba risorgesse di nuovo. Infine una leggerissima pioggia dorata la riportò tra i cosiddetti vivi. A richiamarla era stato probabilmente il suo gatto. Il micetto, forse preoccupato che Jenny potesse lasciarlo davvero, si era accucciato ai suoi piedi come a trasmetterle tutta la spontaneità del suo brio, del suo affetto. Jenny tornò indietro con un leggero soprassalto. In effetti non era mai stata da nessuna parte che non fosse il morbido lettino, la disadorna cameretta. Si era ritrovata, più semplicemente che mai, in meditazione.
“E’ questa?”, si chiese. Ovviamente ne sapeva già qualcosa. Il suo micio parve assentire, Ma una vocina interiore la corresse: è anche questo, anche … Jenny riacquistò le forze. Le analisi le prospettavano un futuro più roseo. Ma ora Jenny, nonostante si sentisse oltremodo coccolata, accudita, circondata da amici, perlopiù volti nuovi, ma ben più autentici di quelli di prima, sapeva di essere sola, di non avere più appigli, nulla con cui identificarsi. Sicché cominciò a meditare, così, senza nessuna idea o proiezione, senza immaginare alcunché. Infine, dagli oggi, dagli domani, senza scopi né ulteriori pretese, il cielo interiore le si schiuse davvero e capì cosa fosse la vera felicità. La gioia senza se, senza ma, la gioia e basta. Si premurò comunque di non farla trasparire. Non voleva che gli altri si sentissero a disagio, se non irrisi. Ora Jenny era davvero felice.
(p.s.: la storia è vera, il nome inventato)