“Maestro, sono una perdigiorno”, confessò la rana zen al suo nuovo precettore. La rana, oltremodo spigliata, nonché straordinaria-mente avvenente, si genuflesse dinanzi all’esimio. Erano giorni che cercava di provocarlo. In realtà mirava ai suoi segreti. Taluni discepoli, quelli dell’entourage più prossimo al sacro vestibolo, anticamera del corridoio che conduceva al Centro del Tempio, l’avevano sconsigliata. “Se vuoi entrare nelle sue grazie ed essere iniziata col rito – sino allora più in auge – ai misteri della sacra tetrade, c’è una sola via.”
“Qual è la via?” chiedeva pressoché confusa la rana.
“La Via è quella della Volontà – rispondeva il confratello più anziano –, ma tu non sai affatto cosa sia, in realtà, la Volontà. Non solo, qualunque spiegazione teorica, dalla più banale a quella maggiormente sofisticata, dovrà essere esperita in pratica, altrimenti non comprenderai mai di cosa stiamo parlando e com’è avvenuto sin dalla notte dei tempi traviserai questo stesso tesoro”.
La rana si ritrasse per un po’… riposò, meditò, si calmò… Poi pervasa da una nuova sete di sapere si accodò ancora alla fila di discenti per chiedere di essere accolta nell’entourage più intimo e riceverne i relativi insegnamenti. Ma stavolta si era abbigliata in modo senz’altro più consono all’austero ambiente di ricercatori di cui solo ora cominciava a coglierne l’inusitata e fraterna sobrietà. Durante quel lungo frangente che veniva designato come la somma attesa, comprese cosa significasse davvero la pazienza. Ora non si trattava più di rifiutare le lusinghe di quell’indolente del gatto effimero che allettava chiunque gli capitasse a tiro, ma senza mantenere mai le proprie promesse. Qui dovevi procedere ore su ore in rigorosissima fila sperando che il prossimo passo non tardasse di molto. Quindi non restava che rilassarsi ed emulare l’ordinario, lo scontato, i confratelli che ti precedevano come quelli che seguivano, tutti intenti a osservare il proprio inevitabile respiro…
Alla fine del lungo, tedioso e surreale percorso, la sala delle udienze: “Vi sopraggiunsi stanca, ma felice. Sennonché si dimostrò inutile. Il seggio del maestro era vuoto. Altrettanto vuota la sala delle udienze. Vuoto il respiro che avevo sinora inseguito. Vuota la volontà impiegata per non desistere. Vuoto il cipiglio per non demordere. Vuota la delusione che ti afferrava se per caso ne comprendevi l’antifona. Vuota la mente che infine si dimostrava per ciò che era: una splendida tabula rasa su cui avresti potuto incidere qualunque cosa avessi voluto mai immaginare, finché un bel satori – emerso perentoriamente anch’esso dal nulla – si dimostrò provvidenziale… e fu subito luce.”