“Sarò breve, i racconti prolissi che si avviluppano su sé stessi, che pur di creare l’ambientazione giusta non lesinano dettagli, mi annoiano. Ma come esporre il mio stato d’animo attuale se non ricorro a un qualche stratagemma?”, pensò la rana zen, pervicacemente seduta da tempo indefinito, forse dall’eternità, nella sala di meditazione del Tempio dedicato ai fannulloni inveterati, ai senza patria, ai perditempo o, in sintesi, ai meditatori più inconcludenti che mente anfibia potesse mai immaginare.
“E meno male che volevi la sintesi”, rifletté il blogger stupito. “Beh, leggiamo.”
La rana Zen rammentò i suoi natali, “Che vita avventurosa!”, pensò. Poi, come se si fosse risvegliata, pressoché d’improvviso, da un lungo, lunghissimo sogno, sì guardò intorno. E quale fu la sua meraviglia quando invece degli sterminati campi d’erba-azzurra si sentì accerchiata da stentati cespugli semi-verdi! E il cielo? Già, quel cielo vitreo che al solo vederlo ti riconciliavi subito finanche col Dio delle rane? Ora, disseminato d’insoliti sbuffi biancastri, sembrava la parodia della sua volubile coscienza prima che l’ultimo guardiano della soglia non le imponesse di varcare il cancello di luce e ritrovarsi qui, forse digià defunta, forse una semplice anima in procinto dell’ennesimo approdo.
Senonché, interagendo con i suoi nuovi vicini si avvide che per parlare muovevano le labbra e per ascoltare tendevano impercettibilmente le orecchie, ma cosa ancor più sorprendente, adoperavano in prevalenza quel genere di vista estemporanea “a occhi aperti” che aveva sentito citare nei prolegomeni delle “antiche storie”. “Oddio, è un altro mondo”, si chiese, “o son tornata indietro?”. Ma mentre la povera rana sembrava oramai ben più che disperata, ricevette in ausilio un fortunoso soccorso. “Sei ritornata sul terzo pianeta, la cosiddetta Terra, mia cara”, ruggì lo strano-gatto dal possente e autorevole cipiglio. “Sei ritornata per raccontarci la tua via … la vera via dell’originaria e indimenticabile stirpe delle rane zen.