Cronache della rana zen nella prima era pandemica del XXI secolo
Oggi, d’improvviso, mi sono cadute le braccia e ho pensato: mio Dio, Grande Architetto dell’Universo (secondo l’antico lessico tradizionale di talune confraternite spirituali), Signore Buddha, Incommensurabile Artefice delle rane d’ogni luogo e tempo, perdonami, sinora ho ricevuto ogni bene, ma io, in realtà, cosa ho fatto per il tutto, per l’insieme? Ho pensato sempre in termini egocentrici, dando per scontato che i tuoi doni – l’aria che respiro, la luce che illumina le nostre giornate, nonché il viso di coloro che incontro – mi fossero dovuti. Per non parlare dell’affetto che sono riuscita a cogliere qua e là, inatteso e sempre in guisa gratuita. Ebbene, cos’è che farò?
Per il momento, l’istante è ciò che m’interessa. Ricambierò con un’umile e silente preghiera di ringraziamento rivolta al cielo, al vento e a null’altro che a un apice segreto di estrema, ridondante, onnipresente gratitudine.
– “Che c’è, amica, ti sei fusa?”, mormorò sbigottito il gatto del Tempio zen che mi ospitava in quegli strani giorni di sconcertati e perentori timori.
Gli eventi di cui eravamo stati – a dir poco – testimoni erano straordinariamente epocali e avrebbero lasciato un lungo strascico d’incertezze e paure.
– “Di che blateri ancora?”, proseguì imperterrito il gatto. “Non lo sai che il nucleo della vita appare sempre, ai profani, come un mastodontico buco nero, un vuoto così totale che ogni luce si annichilisce mentre i sentimenti appaiono solo come insulse e lancinanti carenze? Eppure credevo che oramai ne fossi del tutto edotta”, parve concludere l’arci-saggia quanto silente comparsa.
In quei giorni il territorio limitrofo al Tempio pullulava di esseri che vedevano nell’ennesimo Buddha la loro ultima àncora di salvezza. Sennonché erano capitati – direi – proprio male. Quel Buddha era solo vacuità e sarebbe brillato unicamente dal momento in cui non fosse definitivamente sparito, nell’istante in cui non si fosse – progressivamente o all’improvviso – dissolto.
Qui non c’è mai stata speranza, parvero recitare all’unisono i monaci che sfilavano in processione casuale. Qui non c’è mai stato alcun “io”, dichiarò mentre si dileguava il gatto dei pensieri inadeguati.
“Grazie”, bisbigliò la rana zen mentre meditava su quella roboante tranquillità.