Tra le “storie” più atipiche che abbia mai avuto la fortuna – o la sventura? – di leggere ci sono quelle della rana zen. Ovviamente nulla di particolarmente rilevante al confronto delle sue performances meditative. Quando la rana sedeva, sedeva e basta, idem se camminava nel giardino senza-tempo. I suoi passi erano perduti per sempre. Andava a zonzo frivola, ma così presente che nessuno riusciva a distoglierla più di tanto. Sembrava l’ombra di se stessa. Ma che ombra …! Sennonché, come dicevo, le venne il pallino di coltivare con tutto l’amore possibile il proprio giardino interiore.
E con ciò? A rigor di logica sarebbe la cosa più naturale del mondo. Ok, vada per il dialogo. Non mi nascondo mica dietro frasi fatte. Che la rana meditasse così tanto o trasformasse ogni occasione in un evento pressoché spirituale, era già qualcosa d’insito. Chi è che si prende la briga di fermarsi a contare i respiri fino a dissolvere ogni pensiero nei giochi effimeri dell’aria che rallenta? E chi è che s’innamora così tanto delle piante – stavolta quelle vere – situate tutt’intorno sino a renderle talmente importanti da suscitargli l’orgoglio di essere una sorta di giardiniere provetto? Quella di contemplare il proprio lavoro era un’attitudine spontanea ereditata dal suo inconfondibile retaggio semi-alieno.
A volte pensava che le piante fossero antichi maestri meditanti, fermi lì a testimoniare l’intrinseca sacralità di tutto ciò ch’è caduco, ma permane comunque. Benedetta rana, piombata qui – oggi diremmo per errore – dall’interspazio pre-astrale per ritrovarsi circondata da una tra le più disparate congerie di esseri sognanti giammai finanche immaginabile.
Gli esseri umani, a suo modo di vedere, incespicavano in tutto. Non c’era giorno che non si confondessero da soli. In pratica non conoscevano a fondo nemmeno i loro stessi obiettivi. La rana sapeva bene che non puoi procedere senza una meta ideale, senza uno scopo appropriato. Prima di avventurarsi nella dimensione in cui – noi progenie antropica – sgambettiamo tutt’ora, questi strani esseri – assumendo peraltro le migliori fattezze degli omuncoli nativi – omaggiarono il loro Nume Originario che li esortò con vigore a memorizzare indelebilmente l’assunto seguente:
“Non puoi conoscere te stesso-a se prima non scopri cos’è che desideri davvero perché – ora come ora – sei anche ciò che desideri. Quindi comincia con l’osservare i tuoi desideri, quelli che ti attanagliano o ti rincorrono o folleggiano a nascondino. Investiga i sogni. Soppesa le aspirazioni. Considera le ambizioni. Valuta pure le ripicche, le rivalse. Qual è il loro scopo? Esiste un loro fine recondito? Cos’è che li alimenta? Perché si auto-rigenerano? Comprendere la dinamica dei desideri è la chiave di volta di ogni realizzazione, è il passepartout per qualunque risveglio. Medita, innanzitutto, sui tuoi desideri; non ultimo quelli concernenti le cosiddette ambizioni spirituali. Non condannarli, non magnificarli. E se non fossero che semplici trucchi per distoglierti dall’unica rivelazione possibile?”.
Ebbene, ve l’attendevate una logica così stringente? Le rane blu che dall’etere ci osservano con gioia confidando in una nostra nuova fiammata d’orgoglio, non finiranno mai di stupirci.