L’identità che difendiamo con tanta tenacia potrebbe non essere altro che un ingegnoso artificio della mente. Siamo soliti identificarci con un personaggio un po’ stranito che si barcamena tra speranze patetiche e fatui ricordi, collezionando cimeli inutili e sognando vette che non raggiunge mai. Questa interfaccia, con cui interagiamo con il mondo, ci appare spesso limitata, suscitando in noi un vago disgusto. La via d’uscita, tuttavia, non consiste nel migliorare questo personaggio o nel sostituire le sue illusioni con altre più nobili. La vera alternativa è bypassare d’un sol colpo l’intero teatro mentale. La pratica della meditazione diviene così un semplice specchio, uno strumento per riflettere senza giudizio i futili ritratti di una mente che cerca solo di procrastinare, aprendo così uno spiraglio verso un risveglio a ciò che siamo ben oltre quell’umile costrutto.
Chi sei? Qual è la tua vera natura? E se ciò che crediamo di “essere” non fosse altro che un ingegnoso escamotage, un’interfaccia che ci consente d’interagire con l’ambiente circostante? Non confondiamo l’interiorità con l’impulso immobile che travalica ogni logica ordinaria. Anche se “Centro” e “Periferia” della “Vita” sembrano contrapposti, in realtà sono un insieme inscindibile.
Un autorevole lettore mi ha fatto notare che spesso ciò che indico come poesie sono, più che altro, speculazioni, una sorta d’introspezioni metafisiche. Il loro fine è trascendere lo stato sognante della mente che ordisce, suppone, che trama e proietta per consentirle di specchiare “ciò che è”, l’incontrovertibile qualità dell’essere. Specchiare? Gli esseri, ora come ora, sono solo un’infinita congerie di pseudo istanze pensanti e sognanti che riflettono, vicendevolmente, una verità senza inizio né fine. Quindi, la meditazione per eccellenza è solo un semplice specchio, di ciò che accade o non accade, di “ciò che è” e, persino, di ciò che non è.
Quintessenza
Ma quali vertici …!
Le hai viste le sommità?
Non eri tu che parlavi di cime?
Mi sa che i picchi te li sei solo sognati.
Invece che di gioia trabocchi solo di comiche illusioni,
patetiche speranze, fatui ricordi.
Non sei né più né meno
che un tizio un po’ stranito
che temporeggia, si barcamena,
che colleziona inutili cimeli.
Va bene, comprendo il tuo disgusto, ma l’alternativa, qual è?
Oddio, bypassa d’un solo colpo
le idee che t’imperversano:
son futili ri-tratti
di una mente che s’appiglia
ovunque creda possa
procrastinare sempre.
Svegliati amico,
tu sei ben oltre quell’umile artificio,
tu non sei altro che luce, quintessenza.
Epilogo
Quando lo specchio della consapevolezza rimane terso abbastanza a lungo, l’immagine riflessa del nostro piccolo io, con tutte le sue comiche illusioni e le sue manie, perde finalmente la sua presa. “Svegliati amico”, ci sussurra una voce più profonda, una voce che non appartiene al dialogo incessante della mente. In questo risveglio si comprende che non siamo mai stati quel personaggio limitato che temporeggia e si affanna. Oltre quell’umile artificio, al di là di ogni storia e di ogni tratto psicologico, risiede la nostra vera natura: una luce impersonale, una quintessenza silente. Essere questa luce non è un traguardo o una vetta da scalare, ma la semplice e serena constatazione di ciò che rimane quando si smette di credere ai sogni della mente. È la fine di ogni procrastinazione e l’inizio del dimorare in ciò che siamo sempre stati.
