Mentre fate zazen, vi trovate in uno stato di completa calma mentale; non sentite niente. Sedete e basta. Ma la calma della meditazione vi darà forza nella vita di tutti i giorni. Perciò è nella vita di tutti i giorni, e non quando sedete in meditazione, che scoprirete l’effettivo valore dello Zen. (Shunryu Suzuki-roshi)
Quando sentono parlare di zazen, i neofiti della meditazione, coloro che non sono avvezzi a siffatte pratiche di raccoglimento e si avvicinano per la prima volta a questa nuova terminologia, rimangono un po’ perplessi. La maggior parte comincia a immaginare chissà quale insidioso o esotico approccio posturale, ma in realtà lo zazen richiede innanzitutto di sedere confortevolmente a gambe incrociate su di un cuscino basso o in mancanza anche su di una seggiola, preferibilmente senza schienale.
Accomodarsi, dunque, con la schiena dritta e un cipiglio fiero. Non occorrerebbe null’altro che esser presenti, qui e ora, nuovi nel nuovo istante che inevitabilmente si approssima. Presenti a tutto ciò che accade, alla vita come al respiro, ai pensieri come alla quiete, a un eventuale trambusto come a una tregua. Ciò che conta è indugiare, dimorare e basta. Zazen diventa una sorta di non-fare senza fini espliciti. Anzi, si potrebbe dire che ci s’immerge, consapevolmente, in un frangente senza scopo.
Solo ora potrà subentrare una vera calma mentale. Non si tratterà del riposo indotto dalla stanchezza o di un qualche succedaneo psicofisico; non una preghiera o un mantra, tanto meno un sortilegio chimico (peraltro indispensabile se prescritto da un medico). Sarà, dunque, come la più comune delle pause possibili. Donde la calma provenga, a che miri, non ci compete, non è di nostra pertinenza. Giacché è proprio nella calma che la vita fluisce, prorompe e si manifesta con tutto il vigore e la gioia possibili.