Nella luce del silenzio tutti i problemi si dissolvono. (J. Krishnamurti)
Sembrerebbe un’affermazione utopica o, nel migliore dei casi, eccessivamente ottimista. Se dovessimo crederci passivamente cadremmo dalla padella dell’inconcludenza indolente nella brace del fideismo esagerato. Chiariamo subito. Il silenzio è, innanzitutto, calma mentale. L’esempio cui ci si rifà in genere è quello di paragonare la mente a un discreto specchio lacustre e i pensieri ai flutti che lo agitano. Quando i marosi si placano, idem per la mente. Sarà poi vero? O non si tratta, invece, dell’ennesima esagerazione pseudo-religiosa?
In realtà la mente lasciata a se stessa si trova subito a disagio. Tant’è che la meditazione più oculata dona in realtà, ai pensieri, un senso, una direzione; dapprima li inquadra, poi li indirizza; infine accade in modo del tutto spontaneo che si diradino, ossia che la mente si calmi e la “luce del silenzio” faccia improvvisamente la sua comparsa a rischiararne persino gli angoli più remoti, meno accessibili, pressoché inconsci; a coinvolgere i processi automatici del cervello, le sue reazioni naturali.
Riepilogando … l’approccio meditativo suggerito. Il primo punto è dare un indirizzo ai pensieri. Ciò si può fare sia contemplando un determinato soggetto edificante che osservando attivamente un processo naturale come il flusso spontaneo del respiro. Il secondo è interferire il meno possibile, raggiungendo quindi una qual certa equidistanza tra le svariate pulsioni che nel frattempo potrebbero presentarsi, senza reprimere nulla, ma nemmeno attribuirgli eccessiva importanza, consentendo pertanto all’entità corpo-mente di rilassarsi. Il terzo e ultimo è reiterare questa sorta d’allenamento in modo periodico.