La povertà, il più crudele di tutti i demoni, priva l’uomo di ogni gioia, non solo in questa vita, ma anche in quella a venire. (Tirukkural, 1042)
Inconsapevolezza e disattenzione sono i cardini intorno a cui ruota la povertà di spirito. La meditazione è il rimedio.
E’ vero, la povertà è crudele. E non solo quella materiale, per la sofferenza immediata che comporta, ma pure quella di spirito. Bene, ma cos’è la povertà di spirito? Si tratta forse di carenza d’amore per il prossimo, di compassione, d’inveterato egoismo? O non è, invece, l’aver perso il contatto con se stessi, con il proprio sé più intimo, quindi una mancanza di centratura? E se si trattasse d’un eccesso d’identificazione? Cos’è che ho formulato oggi, quesiti provocatori o solo dubbi?
Il rimedio alla povertà di spirito, alla disattenzione è, innanzitutto, la pratica della meditazione. La contemplazione di quel silenzio spontaneo che si crea quando il mondo – dei sogni – tace.