La meditazione consiste nel metter da parte, temporaneamente, la razionalità e affidarsi all’intelligenza implicita dell’universo soprasensibile.
La via percorsa da ciascun essere senziente che si proponga d’investigare a fondo l’esistenza conduce inevitabilmente a percepire l’energia primeva come un non-luogo donde cui tutto scaturisce e ogni cosa procede. Se di primo acchito la sua caratteristica essenziale appare come impersonale, successivamente ci s’avvede che può esser considerata anche peculiare, ossia strettamente correlata al percipiente. Così come l’oceano non può esprimersi altrimenti che per il tramite delle proprie onde, così i suoi flutti non dovrebbero mai e poi mai dimenticare che la loro natura rimarrà comunque connessa, se non subordinata, a ciò che taluni chiamano Dio, mentre tal’altri designano come Brahman, la consapevolezza cosmica. Dalla divisione di tipo “Cartesiano” tra spirito e materia, tra quel che è logico e quanto metafisico, alla splendida realizzazione che tutto è uno.
Ma dove conduce questa ricerca? Nulla di particolare. Come nel resto della vita si tratta d’un gioco. Se da una parte le identificazioni s’attenuano – e te n’avvedi perché rifuggi viepiù da quelle che ti sembrano oramai banali frivolezze sensoriali – dall’altra scorgi te stesso, il Suo riflesso dovunque. Sicché rimani individuo nella misura in cui l’altro s’afferma. Quanto più ti conosci, tanto più le qualità del divino intrinseco riemergono, il suo quid discende. La mappa su cui ti orienti è una topologia del senza-forma. Benché affermazione e negazione si alternino, ne intuisci, comunque, una sintesi. … Homo (sapiens), non ascoltarmi più, al contrario taci, quindi fermati e il sentiero della meditazione si rivelerà da sé.