La rana zen, il nobile anfibio che vive nella straordinaria terra di nessuno dei nostri più reconditi, ma proficui sogni, decise d’intraprendere la via della meditazione. Cos’è che la spingeva a questa scelta?
– “Mah, – si disse – non saprei! Forse è una moda – il ritmo, la frenesia della vita – che lo richiede.”
Già, la frenesia. Tutto si muoveva con una velocità tale che le circostanze si sovrapponevano le une alle altre senza che la rana riuscisse a focalizzare per lo meno i suoi stessi obbiettivi. Si sentiva trascinata dalla corrente e succube – prim’ancora che attrice – di un destino che non comprendeva più.
– “La meditazione è soprattutto una pausa”, pensò.
E senza batter ciglio si adoperò per comprenderla. Acquistò libri su libri e ne trasse il meglio. Poi visitò qualche maestro, frequentò seminari, coltivò la saggezza. O, per lo meno, credette d’incamminarsi sul sentiero che dalle anguste valli della quotidianità più mediocre conduce verso la vetta della coscienza, la consapevolezza che tutto è uno.
Poi, la rana, dopo aver peregrinato per diversi minuti – si, perché non si era mossa di un millimetro; aveva semplicemente immaginato tutto – discese dal piedistallo dei sogni per andare incontro all’unico appuntamento possibile, quello con se stessa.