“Maestro, sto per mollar la presa, lasciarmi andare, ossia meditare in silenzio, stare a vedere ciò che accade. Basta con le elucubrazioni gratuite che mi danno la finta certezza di sapere, d’esser ben salda, basta”, disse la rana zen.
Ma non ancora soddisfatta proseguì: “Basta con i giochetti della mente che s’illude di agire per spianar la strada col solo scopo di conquistare quel mondo che se solo aprissi gli occhi lo vedresti già tuo. Basta con le identificazioni formali suggerite dal mio presumibile status. Basta!”
“Basta”, l’interruppe con insolita fermezza l’austero Venerabile che tra il serio e il faceto le ordinò: “Figliola, recati nei prati a Est dell’antico maniero adiacente al Tempio senza volta riservato al campo di meditazione estivo, impugna il rastrello e raccogli diecimila foglie secche. Non una in più, non una di meno e portale qui.”
“Perché, maestro?”, chiese stupita la rana.
“Perché così smetterai di pensare a vanvera”, rispose sorridendo il monaco. “Non pensare non significa far piazza pulita di tutto quello che ti viene in mente. Bensì prestare attenzione solo a ciò a cui in quel momento ti dedichi. Se lavori, ebbene lavora. Se riposi, idem, riposa. Se assumi una postura, rimani con quella; e se coltivi il silenzio… taci.