È sorprendente! La rana zen si è data alla filosofia? Tranquillamente seduta sul suo immarcescibile giaciglio di erba secca ai bordi esterni dello stagno dei lotti blu; pardon, era solo uno zafu, un cuscino per la meditazione nell’angolo più remoto del Tempio dei Cuori Afflitti; dicevo, pacificamente assisa, invece di meditare, si poneva domande su domande. Una lunga sequela di cui l’ennesima era: cos’è il vuoto?
“Il maestro mi ha dimostrato che in realtà non esiste, ma – com’è abitudine per siffatta genìa d’insegnanti filo-zen – senz’approfondire oltre. Mi sa che l’inchioderò ai suoi doveri. Non si può accennare a qualcosa di così importante senza specificare meglio”, riflettè la rana.
“Maestro”, principiò senza preamboli durante il colloquio serale, “il vuoto è inconsapevolezza della propria vera natura; è ciò che di primo acchito si rileva quando i pensieri involontari, capricciosi, indisciplinati smettono d’importunarci; è la non-mente, ossia il cielo interiore privo d’alcunché; è l’anticamera del nostro più autentico e inalienabile quid, nucleo, fondamento, ciò che a volte indichiamo come “sé” o “non-sé” o anima. È probabile che sembri un’assenza, ma solo perché non siamo avvezzi a questo indefinibile e recondito ambito. Che mi dici in proposito?”.
“Sì!” rispose con un amabile quanto insolito sorriso il Venerabile”.
La rana si sentì spiazzata, si attendeva un diniego o, al massimo, qualche ulteriore precisazione. Si attendeva che il maestro le dicesse: figliola, questa è teoria, medita sul vuoto, trafiggilo, – oppure – riposa in te stessa e scoprirai che il vuoto è pura energia. La rana zen si fermò, era delusa.
Il tempo volgeva al bello. La serata era così profumata che le sembrò assurdo ignorarla.
“Sì”, ammise, “è vero”.