Ti ho visto mogio mogio sulla via del ritorno a te stesso; tu che dal lento incedere non fai che progredire a ritroso; tu che tentenni quando la sorte o il caso ti puntano rapaci per depredarti l’anima e quant’altro ti sia dappoco appena un po’ rimasto; tu che sei stato convinto di amare mentre non sai nemmeno quale sia il sentiero; tu che sei stato ad arte così confuso da non distinguer più l’amore dai desideri; tu che ignori persino d’esser vittima predestinata … svegliati e reagisci, solleva su la testa!
La spiritualità e, nello specifico, la meditazione non implicano necessariamente cedere il passo, essere più condiscendenti, annullarsi. Anche se l’approccio contemplativo suscita spesso un rapporto più empatico con chicchessia, ciò non significa adattarsi comunque, tantomeno arrendersi alle svariate esigenze che il viver quotidiano comporta. Ciò a cui dovremmo arrenderci è a noi stessi, alle istanze primeve, alla nostra più pura e insondabile interiorità.
Dovremmo, dunque, arrenderci al vuoto, perché non è colmandolo d’inutili e transitori orpelli che potrà mai sparire. Che l’essenza di quel vuoto si chiami amore o consapevolezza cambierà ben poco. Non lasciarti turlupinare da quel mellifluo sentimento di finta accondiscendenza spirituale, ossia dal buonismo imperante, che in realtà è solo un comodo disimpegno. E, ovviamente, non lasciarti fuorviare nemmeno dall’estasi. Ci sono miriadi d’individui che lottano soprattutto con se stessi, mentre è proprio quello l’unico rifugio che potrebbe salvarli. Sii orgoglioso, dunque, e rammenta che per comprendere a sufficienza gli altri dovrai prima conoscerti appieno.
Meditazione: quando osservi il respiro non aggredire il flusso d’aria, lascia che sia.