Quello della meditazione non è affatto una sorta di mondo parallelo – all’universo religioso – che annovera tra le più distinte, se non distanti teorie della super-mente o della supercoscienza. In realtà la religione non è altro che uno specchio invisibile che distorce l’esperienza mistica a vantaggio di poche, ma ben circoscritte caste di astuti cerimonieri di quell’insulsa fiction arraffatrice che possiede banche, nonché beni d’ogni genere, ma nel contempo si dichiara rappresentante dell’unico Dio, che forse è il Dio dei trenta denari, ovviamente.
Mi sento una voce isolata giacché canto una canzone senza musica, né tanto meno parole. Mi sento una voce isolata perché, in realtà, non mi rivolgo a nessuno. Scrivo perché amo la poesia dell’essere molto più di quella del dire per poi non fare, per darsi un contegno, attribuirsi un’identità, fingere persino con se stessi, ma per nascondersi dietro il classico dito che indica la luna … dell’immaginazione. I suoi riflessi sullo specchio di una mente dove non c’è polvere per il semplice motivo che quello stesso specchio-mente non è mai esistito.
E mentre mi crogiolo tra i fumi di un alcool altrettanto immaginario, mi rendo conto che sto tentando di levigare la pietra grezza per approssimarla a una superficie perfetta-mente inutile. Dove sia lo specchio (dove si trovi) e cosa centri davvero la meditazione sarà poi tutto da vedere.