Qual’è la differenza fondamentale tra meditazione e religione? La religione ha bisogno quasi sempre del controllo, dell’autorità. La meditazione, al contrario, non ne necessita affatto. Anzi, per certi versi, è la negazione stessa di qualunque autorità psicologica esterna. L’oggetto del contendere è il controllo del comportamento. Ebbene, mentre la cosiddetta religione tenta in tutti i modi, più o meno direttamente, di controllare o disciplinare le reazioni, sia al livello di singoli che di masse, degli esseri umani, la meditazione si prefigura sin dal principio in quanto libertà.
La prassi meditativa è all’incirca la seguente. Supponiamo che tu chiuda gli occhi, dovrai liberarti subito dal conosciuto e permanere per un certo lasso di tempo attento e consapevole. L’ideale sarebbe seguitare solo fintantoché non diventi uno sforzo. Se parti dal presupposto che tu debba concentrarti fallirai metodicamente perché il proposito stesso altera la tua serenità implicita, inficia l’orizzonte del tuo cielo interiore, agita le acque mentali impedendo di scorgerne il fondo.
Siedi o distenditi, chiudi gli occhi e liberati dal conosciuto. La spiritualità è come una finestra aperta sul cielo della tua interiorità. E mentre la tua coscienza sta per imbattersi in un oceano di pura bellezza, le campane a giorno della tua mente rintoccano di chiarezza, che è energia e finanche gioia. Dopodiché riprendi, ma molto gradualmente, le attività di sempre. L’autorità fittizia ha cominciato appena appena a dissolversi e senza ricorrere ad alternative o sostituti vari. Semmai la tua vera autorità, ossia ciò che ti prescrive o indica cosa sia bene o male, giusto o ingiusto, lecito o riprovevole, diventa viepiù la consapevolezza medesima. Alzati gradualmente, riprendi a camminare, “entra” ed “esci” dentro di te, ossia rilassati o diventa silenzioso e muoviti, quindi, nella routine giornaliera con disinvoltura.
In alternativa. Rimani con ciò che è il tuo respiro. Fai che la tua sola autorità sia quel singolo punto. Consenti che l’attenzione si concentri viepiù dolcemente. Dapprincipio persevera solo per qualche minuto appena. Rammenta che non sei tu a controllare o disciplinare il respiro. Il direttore d’orchestra è la natura intrinseca. Colei che impartisce le direttive, se non altro perché le ha stabilito una volta per tutte. E’ la natura essenziale. Ossia il tuo vero volto. Tutto ciò che eri, o non eri, prim’ancora di nascere. In realtà tutto ciò che sei ora, perchè passato, presente e futuro sono – nel contesto meditativo –, sono solo un’immensa finzione, quella medesima autorità – psicologica – che assume, di volta in volta, un’nfinità di ruoli, innumerevoli maschere. Un principio che racchiude o comprende anche la sua stessa fine, che si camuffa nello slancio vitale che inspiri e poi espiri come nelle piccole grandi cose che il faro della tua attenzione focalizza di volta in volta nel campo di coscienza in cui hai avuto la fortuna di rinascere.
Esiste, dunque, un centro metaforico in cui la tua coscienza, in quanto respiro, sfiora il tuo sé – o non-sé – più intimo. Se la marcia di avvicinamento al nucleo di questo straordinario sostrato interiore divenisse costante, forse, potresti percepirlo. Sarebbe la tua alba dorata, l’inizio di una fioritura spirituale immediata. Bene, ma chi è che dovrebbe avvicinarsi? Chi è che dovrebbe percepire alcunché? Fintantoché ci sarai “tu” non accadrà nessuna meditazione. Prima che ciò sia possibile, sia il respiro che colui che l’osserva, sia il centro dell’universo interiore che colui che crede di percepirlo dovranno divenire tutt’uno.
Frasi fatte di chi ha già superato l’ostacolo – peraltro inesistente – che gli impedisce di procedere oltre – se stesso – verso l’appuntamento illusorio nell’unico luogo e momento possibile? Sorrido perché in realtà potrei descrivere la vicenda interiore all’infinito e, per inciso, se lo faccio è solo per favorire l’introspezione meditativa di chi legge; potremmo parlarne per eoni mentre è più che sufficiente fermarsi e permanere qui, ora, avendo come unico obiettivo l’istante, il momento presente, l’adesso, ciò che persiste comunque, l’irriducibile che non si può spiegare, che è la tua vera e autentica autorità cui uniformare il miracolo della propria – chiudi gli occhi – luminosissima vita.
Sennonché. d’improvvisorio, ti rendi conto che il suddetto centro non è più metaforico. Bensì quanto di più reale si possa mai immaginare. E’ il centro della volontà. Pur senza cercarlo si ripropone da sé d’improvviso, ma è come un soffio d’aria pura che beneficerà chiunque ne venga appena appena lambito. Ma cos’è il “centro della volontà”, come si conquista e come si adopera?
Ajina – che talune tradizioni indicano come il sesto chakra – è soprattutto un punto d’arrivo. Sono in pochi a poterlo contemplare davvero. In primo luogo è indispensabile riuscire a calmarsi agevolmente; ossia entrare in sintonia con se stessi, con il proprio sé – o non sé, la vacuità interiore – più intimo; familiarizzare con l’apparente solitudine; tranquillizzare, quindi, il corpo-mente. Ajina chakra è uno dei simboli dell’unità inscindibile su cui convergono, metaforicamente, tanto le energie di tutto ciò che esiste, ovvero possa essere percepito, quanto dell’increato, cioè la realtà potenziale, l’immaginifico … Ma ora è meglio fermarsi. Se continuassimo potremmo rischiare di cogliere il nulla, ossia di sfiorare qualche barlume di umile verità.