[ segue da “Cenni su Buddismo e meditazione 1°” ] La consapevolezza della sofferenza esistenziale può essere un fattore di crescita nella misura in cui ci induce a superare certi attaccamenti e identificazioni. In generale è meglio guardare il lato buono delle cose e concepire la vita come gioia.
Sia in questo che nell’articolo successivo, argomenteremo ancora sul Buddhismo, ma soffermandoci solo su quelle istanze culturali o conoscenze che possono favorire la meditazione.
Cenni su Buddismo e meditazione 2°
Insoddisfazione, sofferenza, esigenze impellenti, prospettive attraenti e motivazioni accattivanti generano una spinta emotiva al cambiamento. Qualunque siano le circostanze individuali, salute, ricchezza, povertà, il primo passo da compiere per superare le afflizioni della propria esistenza ordinaria è, secondo il Buddhismo, divenire consapevoli della peculiare situazione esistenziale e agire per superarla.
Noi stiamo parlando di spiritualità genuina. Non si tratta, pertanto, di accettare o di rifiutare alcunché, come la credenza in un Dio che peraltro nessuno mette in discussione. Oppure l’ipocrita dimostrazione di un’umiltà tanto spesso solo apparente. Ma solo di prendere atto che la coscienza non è un valore assoluto, bensì il risultato di una selezione percettiva. A tal fine è innanzitutto indispensabile osservare le circostanze attuali delle propria vita, senza esprimere giudizi inutili.
Tutto ciò non corrisponde a un atteggiamento di rinuncia. La risposta alle situazioni contingenti dipende dalla propria consapevolezza del presente, dalla sensazione di pace che si sperimenta nel suddetto frangente, dal sentimento di condivisione e reciprocità che ne deriva e dalla compassione che ne discende. I suoi frutti non potranno che essere amore, che non è l’opposto dell’odio, bensì della cecità spirituale.
Tuttavia qualora le nostre preoccupazioni preponderanti fossero di carattere più specifico dovremo, sicuramente, prenderle in esame. A tale scopo riporto un suggerimento pratico del mio insegnante di meditazione.
Qualunque ostacolo si frapponga fra te, il benessere psicofisico e la realizzazione spirituale sia il benvenuto perché è un’opportunità preziosa e irripetibile. Ciascun problema cela in se la propria soluzione. Usalo così: osservalo, consideralo, trasformalo nella tua meditazione. Guardandoci dentro, con il tempo, attendi almeno qualche settimana, tutto ti sarà più chiaro e i tuoi dubbi si risolveranno in modo inatteso o insperato.
“Io insegno due cose soltanto, o miei discepoli: la sofferenza e la liberazione dalla sofferenza”. (Samyutta Nikaya)
Sofferenza
Il Buddha insisteva sulla sofferenza come fenomeno implicito alla condizione umana, elemento del tutto inesorabile e ineluttabile, per sollecitare i suoi interlocutori e convincerli della necessità di un cambiamento di prospettiva mentale. Egli tentava di renderli consapevoli di un’urgenza indifferibile, in modo che potessero scuotersi dal loro atavico torpore e risvegliarsi dal sogno placido in cui comodamente si cullavano illudendosi che la precarietà fosse solo un incubo temporaneo e che il loro destino sarebbe stato quello dell’immortalità.
Il Buddha cercò di smuoverli in modo che rinunciassero ai miraggi, divenissero più reattivi senza indugiare in identificazioni puerili. Vi riuscì? Talvolta fu travisato proprio da coloro che avrebbero dovuto sostenere le sue ammirevoli e compassionevoli intuizioni.
Secondo il Buddha la sofferenza dipende essenzialmente dal conflitto tra l’effettiva instabilità e caducità delle cose e la nostra sete o speranza di certezze e sicurezze che ci porta a illuderci circa una loro esistenza separata. Per alimentare tale illusione, tale sogno, ci si attacca a tutto ciò che sembrerebbe dimostrarne stabilità e durevolezza respingendo quanto ne indica impermanenza o provvisorietà. Ovviamente ciò genera attrazione e repulsione, desiderio e avversione, odio, paura, una costante sensazione di precarietà e smarrimento che causa invariabilmente afflizione. Solo coloro ben consapevoli del fatto che la contingenza è dialettica, cioè gli eventi si compongono e ricompongono in un divenire continuo, ma equilibrato, e quindi quelli per nulla identificati con i fenomeni transitori, superano la tirannia di attrazione e repulsione. Infine, riconoscendo e accettando la coscienza come fioritura vitale dell’universo è possibile superare l’ambivalenza che condiziona ed opprime ogni libertà di scelta. Non subire più i propri desideri, ma diventarne gli artefici.
Il Buddha riteneva che il dolore, sia fisico che metafisico, possa essere senz’altro sconfitto. A tal fine propose un metodo che chiamò “le Quattro Verità”.
- Dukkha:
sofferenza, insoddisfazione, sentimento d’imperfezione e d’insicurezza, vacuità, impermanenza … - Trishna:
cause della sofferenza, desiderio, avidità, egoismo … - Nirvana:
cessazione della sofferenza … - La Via per giungere alla fine della sofferenza:
meditazione e insegnamento del Buddha …
Noi non esamineremo, come avviene nelle normali interpretazioni dottrinarie, le nobili verità del buddismo, ma solo alcuni punti essenziali. Circa la sofferenza ne abbiamo già appena accennato. Suppongo sia comunque utile riassumere, in modo ancor più chiaro ed esplicito, il seguente concetto.
Sofferenza e spiritualità non sono sinonimi. La sofferenza può essere funzionale alla spiritualità solo qualora favorisca la consapevolezza. Vita inconsapevole implica persistente, incessante o ricorrente sofferenza. Esistenza consapevole comporta spiritualità, gioia e libertà psicologica.
La vita inconsapevole provoca sempre sofferenza e quindi quanto più saremo consapevoli, tanto meno dovremo soffrire e la nostra vita sarà come una splendida fioritura.
Nel prosieguo cercheremo d’intuire, tra l’altro, il significato effettivo di nirvana. Per quanto riguarda la quarta nobile verità, la via per giungere alla cessazione della sofferenza, essa è, in minima parte e nei nostri ampi limiti, il sentiero che stiamo già percorrendo. A tal proposito non dimentichiamo mai di tenere sempre ben presente che la meditazione, in quanto autorealizzazione di una vita vissuta senza identificazioni superflue, con gioia, grande attenzione e discernimento, mal si concilia con la professione di qualunque dottrina coercitiva.
Epilogo
Per ora non aggiungo altro. Concludo rapidamente con un flashback nostalgico. Un altro breve, ma significativo pensiero del mio insegnante, non un maestro nel senso classico del termine, ma un amico.
Quando sei consapevole della tua mente e non sei identificato con la sua parte più meccanica ed automatica, l’adoperi come uno strumento versatile senza esserne posseduto. Cioè eviti che la parte prenda il sopravvento sul tutto. Ti rendi così disponibile ad un nuovo tipo di energia che proverrà da dentro o da fuori, dall’alto o dal basso, e percepirai dovunque. Essa è l’energia della totalità, dell’unità.
– Cenni su Buddismo e meditazione 1°
– Cenni su Buddismo e meditazione 3°